mercoledì 20 aprile 2016

La Stampa 20.4.16
Fra i trafficanti di uomini in Libia
“Per mille dollari ti porto in Italia”
La filiera che gestisce la tratta, dai trasferimenti sulla costa all’imbarco “Al timone ci sono i migranti, si pagano il viaggio facendo gli scafisti”
di Francesco Semprini

Sono da poco passate le dieci di sera e Omar, Mohammed e Isa percorrono la strada che costeggia il Mediterraneo tra la Tunisia e Tripoli.
In lontananza il buio è interrotto dagli alti fuochi dell’impianto di gas naturale di Mellitah. Omar, Mohammed e Isa hanno tra 20 e 30 anni, sono tutti «impiegati» nel traffico di essere umani. È attraverso la loro manovalanza che tentiamo di comprendere il funzionamento di questo business criminale punto di raccordo delle mafie di mezzo mondo.
I tre ragazzi libici si stanno recando sul posto di lavoro, nel tratto di costa che dal primo check-point ad Est di Mellitah attraversa Sabratha fino a Zawia. È una delle aree più pericolose della costa occidentale libica, pattugliata senza sosta da droni Usa a caccia di terroristi. Come Noureddine Chouchane, tunisino con un passato in Italia, capo della colonna locale dell’Isis, l’obiettivo dei raid Usa del febbraio scorso. Non lontano dal suo covo polverizzato dalle «bombe intelligenti» sorge invece la villetta dove sono stati tenuti prigionieri i quattro dipendenti italiani della Bonatti rapiti a luglio (di cui due uccisi a marzo). Qui i titolari dell’ordine sono le Brigate, nessuno però tra Sabratha e Tripoli è riuscito sinora a fermare il traffico di migranti. Del resto il business è stellare: «C’è molta richiesta qui, sono tantissimi gli stranieri che vogliono andare in Italia», spiega Mohammed. Già Gheddafi utilizzava questa zona per il contrabbando, aveva creato un porto franco a suo comodo, tanto che i traffici partivano non lontano dalla sua villa litoranea.
Ad oggi, solo il territorio di Zuara, che si estende sul mare per 80 km tra il confine tunisino e Sabratha, è stato ripulito dal traffico di esseri umani grazie ad una iniziativa autonoma della Municipalità e delle Brigate locali e a una forte mobilitazione popolare, così l’epicentro dei traffici si è spostato più ad Est. Salpare da qui è ottimale, è il punto più vicino all’Italia e la profondità del mare non arriva nemmeno a 200 metri. Partendo da Bengasi o dall’Egitto a 10 km dalla costa la profondità e già di 400 metri, con correnti molto forti. Ecco perché tutti arrivano qui, i «clienti» del Corno d’Africa da Sudan e Ciad, i nigeriani, così come i migranti dell’Africa dell’Ovest che seguono le piste sahariane del Mali. I siriani ora non si vedono: prima invece arrivavano via mare sulla costa libica orientale attraverso l’Egitto, e poi via terra fino alle coste occidentali, talvolta agevolati nel percorso da organizzazioni islamiste. Un fatturato di milioni di dollari al giorno, con una organizzazione criminale strutturata a compartimenti per tutelarla da soffiate, confessioni o pentimenti, come si legge nei romanzi criminali nostrani.
Un ordinamento gerarchico con formiche, cavalli e capi batteria. Omar ad esempio è una sentinella, si apposta sulla strada e avverte se arriva qualcuno di sospetto, si tratta di uno dei primi incarichi nell’organizzazione. Mohammed ha iniziato portando da mangiare ai migranti in attesa di partire, «un incarico di fiducia», ci dice. Ora invece si occupa del trasporto dagli hangar alle «casematte» a ridosso della riva dove i migranti passano la notte prima dell’imbarco. «Qui il guadagno è più elevato, cento dinari a testa: con un’auto sono 400 dinari, metà di uno stipendio statale, ma con un furgoncino va ancora meglio». «Per entrare nel giro bisogna essere presentati da persone che già vi appartengono - ci racconta Isa, il più grande e il più navigato -. Devi guadagnarti la fiducia per raggiungere ruoli di responsabilità, i primi lavori si fanno con barche piccole poi si cresce». Lui ha fatto il salto di qualità e oggi ha una sua clientela che porta al «network», una «scuderia» tutta sua. «Acquisti il capitale umano dal trafficante che lo porta qui - dice - e lo rivendi a chi poi si occupa di portarlo fisicamente in Italia».
Una filiera dove ad ogni passaggio c’è un ricarico sul prezzo: «Si fanno anche 30 mila dinari al mese». La tariffa base per raggiungere l’Italia è mille dollari, ma ci sono pacchetti diversi, «trattamenti di riguardo erano riservati ai siriani», ci spiegano, molti provenivano dalla classe media ed erano disposti a pagare di più. L’ultimo passaggio è l’imbarco, «solo se le condizioni meteo lo permettono», mentre il rischio Guardia costiera è limitato, per il ristretto numero di unità navali di cui dispongono le forze libiche. «Su un gommone di 40 persone salgono 100-120 persone, mentre su un peschereccio si imbarcano anche 700 persone, - dice Isa - un milione di dollari in un colpo solo». Al timone non c’è mai un libico, «un migrante piuttosto, un africano che si paga la tratta pilotando: gli viene dato un Gps, il resto lo fa il mare». I barconi si allontanano con i fuoribordo al minimo, le spiagge si svuotano, le sentinelle si dileguano al lento dissolversi del buio. Poi il vuoto. Quando si smette di fare questo lavoro? «Sino a che non si trova qualcosa di meglio, ma a volte si prosegue part-time», anche il crimine ha le sue moderne flessibilità. Mai nessun rimorso? Neppure davanti ai cadaveri in balia delle onde? «È nostro interesse che i clienti arrivino sani e salvi, quando si lavora a certi livelli si pensa solo a questo».