Repubblica 18.4.16
Le testimonianze.
Oltre 53mila persone
sono intrappolate nel paese. Le tensioni nei campi profughi, tra
sovraffollamento e scarsa igiene, rischiano di esplodere
Da Lesbo agli ex aeroporti la polveriera greca “Fango, risse e lacrimogeni le nostre vite senza asilo”
di Ettore Livini
Amr Amdouni è un medico di Homs in viaggio con la figlia di 5 anni. Dorme nel vecchio scalo di Atene
“Pachistani e yemeniti temono di essere respinti. Sono sull’orlo di crisi nervose e mentali serie”
MITILENE.
Lesbo, ma non solo. Blindata (o quasi) la frontiera con la Turchia —
gli sbarchi negli ultimi 10 giorni sono stati solo 505 — la Grecia
affronta ora la drammatica fase due della crisi dei migranti. Da Idomeni
al confine con l’Albania, 53.806 persone sono intrappolate nel paese.
L’Europa aveva promesso a febbraio a ricollocarne 6mila al mese. Allo
stato però ne ha accettate solo 615. E i campi profughi ufficiali o
spontanei (come raccontano le storie raccolte di seguito grazie
all’aiuto di alcune ong) sono polveriere che rischiano di esplodere da
un momento all’altro.
LESBO
Amri Al Saffar, afgano di 22
anni, è recluso nel campo prigione di Moria dal 23 di marzo. «Qui è un
incubo — racconta appoggiato sulla rete di recinzione metallica — siamo
in 2.850, noi dormiamo in tende sovraffollate e con pochissima igiene ».
In base ai suoi piani oggi avrebbe dovuto essere da suo fratello a
Stoccolma. «Invece sono bloccato qui. Non posso uscire da Moria, non ho
informazioni. Ho fatto una richiesta d’asilo. Ma esaminano solo quelle
dei siriani. Sabato, quando qui c’è stato il Papa, è andato tutto bene.
Ma la verità è che c’è grande tensione tra i gruppi etnici. Un mio
compagno di tenda è stato ferito con una sassata e la polizia nel campo è
nervosissima ». Atene punta a smaltire in fretta le domande di asilo
per svuotare i campi. «Le cose però vanno a rilento», dice Amri. «Ci
sono solo 30 legali e sbrigano 50 pratiche al giorno, meno dei nuovi
sbarchi. Giovedì sono arrivate le prime risposte: a quattro famiglie
siriane su sei hanno detto “no”. Uno di loro ha tentato il suicidio per
timore del rimpatrio in Turchia. Qui è un miracolo se non ci è ancora
scappato il morto».
HELLINIKO
Amr Amdouni è un 45enne medico
di Homs in viaggio con la figlia di cinque anni Layan. Da un mese dorme
in tenda sul pavimento del vecchio aeroporto di Atene chiuso dal 2001,
l’Hellinikon. «Ci siamo divisi sale d’attesa e gate per paese d’origine.
Saremo almeno in 3mila». Il campo è spontaneo. «Il Comune ha fornito
una ventina di gabinetti chimici, noi abbiamo riadattato le toilette
dello scalo e le teniamo pulite ». Tra i bambini c’è stata un’epidemia
di bronchite: «L’ha presa anche Layan, ma per fortuna Unhcr e Medici del
mondo vengono due volte al giorno per le visite». Il governo offre a
tutti il trasferimento in bus a campi organizzati. Ma pochi accettano
«perché hanno il terrore di essere portati in Turchia». «Io sono
schedato come famiglia monoparentale e dovrei riuscire ad arrivare in
Francia», spera Amr. «Ma pachistani, iraniani e yemeniti sono
terrorizzati. Se si lasciano identificare vengono respinti e così stanno
qui nascosti. Io sono neurologo e le assicuro che molti di loro sono
sull’orlo di crisi nervose e mentali serie».
IDOMENI
Radwa
Gamal ha 32 anni, è curda siriana e da un mese vive a Idomeni, al
confine con la Macedonia. «Non ce la faccio più. L’unica nota positiva è
che non piove e fa caldo. Oggi hanno distribuito un volantino per
convincerci a spostarci in strutture ufficiali», racconta al telefono.
«Dicono che qui ci sono pidocchi, gastroenterite e scabbia». L’obiettivo
di Atene è disinnescare la bomba ad orologeria di Idomeni senza
violenza. «Ma non sarà facile », dice Radwa. «Tutti qui sono convinti
che, chiusa la frontiera con la Turchia, si riaprirà quella con la
Macedonia. Sabato è partito solo un bus verso Kozani, oggi nessuno». La
tensione, ammette, è altissima. «Abbiamo vissuto nel fango, ci laviamo
con l’acqua delle pozzanghere. E ogni tanto i più disperati provano a
forzare la frontiera. La polizia macedone però non scherza. L’altro
giorno lacrimogeni e pallottole di plastica sono arrivate fin qui tra le
tende. Una ha colpito il figlio di 7 anni della mia vicina. Per fortuna
solo una botta». Msf e Unhcr, vista l’evoluzione degli ultimi giorni,
hanno spostato qui parte del personale dislocato sulle isole.
KATSIKAS
Abdulrahman
Al Fayed è arrivato il 7 aprile nell’ex aeroporto militare a 60
chilometri dal confine con l’Albania. «Mi hanno trasferito dal Pireo
dicendomi che sarei finito in un campo con wifi e docce calde. E invece
mi sono ritrovato in un inferno ». La ghiaia anti-fango stesa sul
terreno «punge e non fa dormire nessuno». Nel campo ci sono 1.150
persone tra cui 500 bambini. «E dobbiamo farci bastare 35 bagni sporchi e
venti docce senza acqua calda. Due giorni fa dopo la pioggia abbiamo
catturato una decina di bisce, i bambini sono spaventati». Risultato: «I
rifugiati arrivati qui l’altro giorno con sei pullman si sono rifiutati
di scendere. E tutti pensiamo di scappare verso l’Albania». I
contrabbandieri, dice, vendono pacchetti da 2mila euro per raggiungere
l’Italia via mare. I tecnici di Roma, Atene e Tirana si sono incontrati
nei giorni scorsi per prevenire esodi tra i 2mila profughi in Epiro. «Ma
piuttosto che stare in questo schifo, in tanti cercheranno di passare
il confine a Nord», è certo Abdulrahman.