Corriere 18.4.16
«Profughi, non è un’invasione»
«I
movimenti di popolazioni sono inevitabili. Respingere i migranti con le
barriere è un’ingenuità». Così dice al Corriere il responsabile Onu,
Filippo Grandi
intervista di Maurizio Caprara
«Certo
in Italia non è in corso un’invasione. E se si riescono a trovare gli
strumenti europei per rispondere all’attuale flusso di profughi non ci
sono motivi di apprensione», ha detto al Corriere della Sera Filippo
Grandi, l’alto commissario dell’agenzia delle Nazioni unite per i
rifugiati, dopo essere intervenuto ieri all’assemblea generale della
Commissione Trilaterale riunita a Roma.
L’Unhcr, sigla di United
Nations High Commissioner for Refugees, è una struttura dotata di
antenne utili per farsi un’idea non improvvisata su che cosa si muove
nel mondo, sugli spostamenti di massa: è costituita da 9.700 persone al
lavoro in 126 Paesi per assistere 60 milioni di profughi. Grandi è il
primo italiano a guidarla.
Lontano dai luoghi di impatto e
concentrazione dei flussi, la realtà è davvero quella allarmante che si
percepisce guardando alcune trasmissioni in tv o leggendo molte
dichiarazioni politiche? E le risulta che nei primi tre mesi e mezzo del
2016 gli sbarchi in Italia abbiano aumentato gli arrivi di profughi e
migranti del 55% rispetto al 2015?
«La nostra lettura è che al 15
aprile c’è stato l’11% in più di arrivi rispetto allo stesso periodo del
2015. Si è registrata un’intensificazione in gennaio e in marzo.
Occorre vedere che cosa accadrà quando sarà passato più tempo dalla
chiusura della rotta di passaggio dal Medio Oriente alla Turchia».
C’è chi teme più sbarchi di siriani. Ha senso temerlo?
«Per
adesso verso l’Italia si è registrato un leggero aumento di arrivi di
persone da tempo bloccate in Libia, per lo più africane. Bisognerà
vedere se aumenteranno i siriani e altri da quella regione, in quel caso
significherà che si è sviluppato un nuovo percorso dal Medio Oriente.
Comunque sarà impossibile fermare questo fenomeno soltanto con strumenti
di chiusura».
Perché?
«I movimenti di popolazioni, oggi,
sono inevitabili. La tecnologia che noi abbiamo in Occidente per i
nostri spostamenti è a disposizione anche di chi si muove da Paesi meno
abbienti e dei trafficanti di esseri umani. Che si tratti di rifugiati o
di migranti per ragioni economiche credere di respingerli con barriere è
un po’ ingenuo. Capisco che dal punto di vista elettorale possa servire
dirlo. Sul breve periodo. Ma il problema si ripresenterà».
E perché secondo lei non dovrebbe derivarne apprensione?
«In
Europa, oltre che dalle propagande alle quali accennavo, l’apprensione è
stata generata l’anno scorso dall’immagine di disorganizzazione e di
mancanza di solidarietà tra gli Stati europei. Se i flussi fossero stati
gestiti diversamente, si sarebbe evitata una paura crescente».
Le sembra mancata capacità di decidere o di agire?
«Le
decisioni erano positive quando l’estate scorsa l’Europa, anche se non
tutti i suoi Stati, ha stabilito di ricollocare al suo interno rifugiati
venuti da fuori. Però poi la redistribuzione non è stata applicata.
Così ci sono stati arrivi non coordinati in Germania, Svezia e Austria,
con impressione di disordine. E si è avuto un imbottigliamento totale in
Grecia, un Paese nel quale adesso si trovano oltre 50 mila persone in
più e al quale andrebbero aumentati gli aiuti».
Ripartire i
rifugiati in base a quote tra Stati dell’Unione Europea avrebbe ridotto
le presenze in Italia, Paese che comunque per molti di loro non è la
meta finale. Quali altri effetti avrebbe prodotto la «ricollocazione»?
«Si
sarebbe dimostrato che il problema era gestibile. La scelta in seguito è
stata di “esternalizzare” (come le aziende che assegnano a esterni
servizi prima forniti dalle stesse imprese, ndr ) i confini europei. È
il senso dell’accordo con la Turchia».
Quanto conta come fattore di attrazione di migranti il mercato nero del lavoro?
«Noi
ci occupiamo di rifugiati, ma anche il resto è sotto i nostri occhi. Se
organizzare meglio i flussi è una parte della risposta a questo
fenomeno, farlo per i migranti economici è fondamentale. L’Europa ha
bisogno della forza-lavoro derivata dalle emigrazioni. L’importante è
offrire alternative organizzate ai canali attuali, e ciò darebbe una
spallata ai movimenti irregolari. Per riuscirci però occorre agire su
grandi numeri. Oggi si parla di invasione, ma in realtà…».
In realtà?
«…i migranti arrivano irregolarmente e quindi possono essere più facilmente sfruttati».
Quali sarebbero le strade adatte secondo lei?
«Il
gesto di papa Francesco a Lesbo è stato eccellente. Prendendo con sé
tre famiglie di rifugiati siriani ha dato l’esempio, e il suo non poteva
non essere simbolico. Si darebbe un colpo a trafficanti e scafisti se
nell’Ue e nel mondo si predisponessero per il 10% dei profughi siriani —
circa 400 mila persone su oltre 4 milioni adesso raccolte in prevalenza
in Libano, Giordania e Turchia — canali legali con ricongiungimenti
familiari, borse di studio, visti umanitari privilegiando i più deboli.
Poi occorre agire per fermare le guerre, anche se richiede tempo».