lunedì 18 aprile 2016

La Stampa 18.4.16
“Basta con le divisioni: i migranti non sono un peso ma un contributo”
Louise Arbour: i leader mondiali collaborino
intervista di Francesca Paci

L’Europa deve cooperare sui migranti, per loro ma anche e soprattutto per se stessa. Dopo aver spiegato la sua contrarietà alla politica dei muri ai 280 delegati riuniti a porte chiuse per la Trilater Commission di Roma, l’ex Alto Commissario Onu per i diritti umani Louise Arbour si ferma a parlare delle paure, le sfide e le prospettive che sottendono il dibattito sull’onda umana ai confini dell’Europa.
Che impatto ha avuto la visita del Papa a Lesbo?
«Il Papa ha sottolineato il nodo etico, non è l’unico e non risolve, ma è importante. È una crisi che va oltre i numeri, urgono leader mondiali che parlino come il Papa mostrando un approccio più positivo per contrastare le voci negative altisonanti in Europa».
I populisti cavalcano le paure della gente, ma la gente è davvero preoccupata. Come si fa?
«Io vengo dal Canada, un Paese che deve all’immigrazione molte storie di successo. Non voglio enfatizzare il mio background né criticare l’Europa, ma è vero che le persone capiscono solo i problemi che li riguardano e non è facile creare empatia. Eppure il lavoro richiesto all’Europa non è infattibile. L’Europa ha 500 milioni di abitanti, è ricca sebbene la crisi economica l’abbia impoverita, dovrebbe inquadrare il problema in prospettiva, è una sfida non impossibile. Pensate ai rifugiati in Libano: è come se l’intero Canada si fosse riversato negli Usa».
Cosa pensa dell’immigration compact proposto dall’Italia, eurobond ai Paesi d’origine perché scoraggino le partenze?
«Tutto buono, ma non può esserci un’alternativa alla responsabilità dell’Europa sull’accoglienza dovuta ai richiedenti asilo. Queste persone vanno aiutate. Proporre l’accesso, ma solo per numeri limitati è un atteggiamento che tradisce la convenzione sui rifugiati firmata dopo la Seconda guerra mondiale secondo cui bisogna accogliere i richiedenti asilo, non penalizzare l’ingresso illegale e non rimandarli indietro laddove rischiano la vita. Spesso gli “illegali” lo sono perché altrimenti non entrerebbero mai».
I migranti stanno svelando le contraddizione di un’Ue divisa?
«L’Europa è fondata sull’essere un’entità senza confini interni per cui è accidentale che i migranti sbarchino in Italia e non in Olanda: è un progetto che richiede solidarietà. Il fatto di definire i migranti “un peso” alimenta la retorica dell’onere mentre bisognerebbe spiegare come spesso sul lungo termine diano un contributo. L’Europa non è l’unica a mostrare le sue contraddizioni, anche gli Stati Uniti accolgono poco e il Canada che accoglie in modo più “ordinato” con i “resettlement” dell’Onu dovrebbe aiutarvi di più. Ma l’Europa deve andare oltre il panico: molti siriani ammessi in Canada hanno rifiutato perché volevano stare vicino a casa per rientrare appena possibile. Non è detto che restino per sempre».
Come usciremo da questa crisi?
«È una sfida vitale: parte della strategia dei jihadisti è mettere sotto pressione i nostri valori, forzarci a tradire la nostra identità. I migranti corrispondono sul piano quotidiano alla minaccia più occasionale degli attentati. I media devono costruire una nuova narrativa. Per esempio il fatto che molti migranti siano musulmani aggrava le cose, non sono più percepiti solo come peso, ma come pericolo. Il Canada ha accolto i polacchi, gli etiopi, ma l’islam è diverso. Eppure non lo è: quando da Paese inglese e protestante accogliemmo i cattolici dicemmo che erano poveri, prolifici e rispondevano solo al Vaticano, degli ebrei dell’Est Europa dicemmo che erano bolscevichi e rispondevano solo alla loro comunità. Ma se l’approccio iniziale è buono poi si cresce».