lunedì 18 aprile 2016

Repubblica 18.4.16
Il retroscena.
Il presidente del consiglio è preoccupato dall’orientamento dei giovani elettori che sono stati attratti dalle ragioni dei referendari e anche dalle indicazioni della Chiesa
Ora il premier prepara la battaglia d’autunno “Quella è la sfida finale”
di Goffredo De Marchis

L’affondo del premier: “Ma il governatore pugliese ha ancora la fiducia dei suoi elettori?” La consultazione referendaria sulle riforme dovrebbe svolgersi il 16 ottobre

ROMA. La scelta è quella di guardare da subito al referendum costituzionale di ottobre. Sottolineando la sconfitta delle regioni e dei governatori, gli stessi che potrebbero rivoltarsi contro la legge Boschi promuovendo il No per la consultazione di autunno. «Hanno perso sonoramente una battaglia. Vogliono perdere anche la guerra?» dice Matteo Renzi ai suoi collaboratori nello studio di Palazzo Chigi. Ma allo stesso tempo cerca la pace con i 14 milioni di italiani che sono andati a votare ieri, nonostante l’appello all’astensione abbastanza chiaro del premier. Per questo, prima di prendere la parola a urne chiuse, con i consiglieri più fidati Renzi decide una linea soft, almeno nei confronti dei cittadini. «Possiamo ribaltare il loro voto a ottobre. Per esempio c’è sicuramente una larga parte del mondo giovanile, penso a quello cattolico, che è andato alle urne ispirato dall’enciclica del Papa sull’ambiente o dagli inviti della Cei. Sono sicuro che gli stessi possono convincersi a dire sì all’abolizione del Senato».
Dunque, Renzi in pubblico mostra la tranquillità del vincente eppure non sottovaluta le possibili proiezioni dell’esito referendario. Decide di sparare sui governatori, quasi tutti del Pd, su chi ha strumentalizzato il quesito contro di lui per far risaltare la sua vittoria. E prima di presentarsi al microfono si informa soprattutto del risultato della Puglia e della Basilicata. «Emiliano non ha raggiunto il quorum nemmeno nella sua regione. Sarebbe bene che si facesse qualche domanda, a partire dalla Puglia che governa», sibila velenosamente il premier. «Ha ancora la fiducia dei cittadini? Non mi pare l’abbiano seguito. Ed è stato eletto appena nove mesi fa...». La Basilicata invece è l’epicentro dell’inchiesta giudiziaria che ha acceso i riflettori sul quesito. «Senza l’indagine l’affluenza sarebbe stata al 20 per cento », ripete Renzi. La Basilicata è anche la regione di Roberto Speranza, l’avversario interno più probabile per il congresso del Pd. Speranza è andato al seggio e ha votato Sì. E nella sua regione il quorum è stato superato.
Ma quei dati, al di là della vittoria che allontana anche i pericoli della mozione di sfiducia di domani e il vento di una spallata contro l’esecutivo, Renzi vuole leggerli bene. In particolare, quelli delle regioni che non erano coinvolte direttamente perché lì, quasi certamente, si annida una pulsione direttamente anti-Renzi, una voglia di voto che ha come bersaglio proprio il premier. E può condizionare il voto di ottobre, la partita finale del renzismo alla quale il premier pensa continuamente tanto da aver già individuato una data da cerchiare sul calendario. Per dire Sì o No alle riforme si andrà alle urne il 16 ottobre. Renzi ha sondato durante il giorno la Lombardia, cuore produttivo del Paese (e a Milano si vota a giugno per il comune). O la Sicilia, che non ha promosso il referendum, ma ha un bacino di elettori vicino ai 4 milioni.
Renzi comunque non è andato al mare per evitare l’urna, evocando l’antico invito craxiano. Da Pontassieve, campagna toscana, ha tenuto sotto controllo il referendum per tutta la domenica. È sempre rimasto in contatto con i vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini. Ha monitorato alcune regioni chiave, le più popolose, chiamando i rappresentanti del Pd di Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia. Per capire gli umori, per avere delle sensazioni sull’affluenza. Quando è stato chiaro che il traguardo dei referendari era lontanissimo, ha telefonato al sindaco di Melpignano in Salento, Ivan Stomeo. Stomeo è stato uno dei capi del comitato contro le trivelle, alleato di Michele Emiliano in questa battaglia. Renzi gli ha fatto credere che la soglia della metà più uno degli aventi diritto fosse dietro l’angolo, che il miracolo fosse possibile. Non era vero, naturalmente.
La scuola di Pontassieve dove c’è il suo seggio, Renzi l’ha solo sfiorata con la sua auto nel solito percorso che da casa sua porta alla parrocchia che sta dall’altra parte della ferrovia e obbliga a un lungo giro del Paese. Sfiorata e basta perché ovviamente il premier non è andato a votare. Dopo la messa in famiglia, Renzi è andato a vedere la partita del figlio Francesco, calciatore dell’Africo impegnato contro la Cattolica Virtus. Ha fatto un po’ di jogging, ha lavorato da casa con la Protezione civile per coordinare i possibili aiuti da inviare alla popolazione dell’Ecuador colpito dal terremoto e ha twittato la notizia. Sempre su Twitter ha festeggiato il ciclista Gasparotto vincitore dell’Amstel Goldrace, ha fatto gli auguri al centrocampista della Juve e della Nazionale Claudio Marchisio che ieri si è rotto il legamento crociato. Ma nel pomeriggio ha cominciato a scrivere il discorso di martedì quando il governo sarà chiamato ad affrontare di nuovo una mozione di sfiducia in Parlamento. Il risultato del referendum rende la strada più semplice, visto che le mozioni delle opposizioni muovono proprio dall’inchiesta di Potenza sul petrolio, inchiesta che la giornata delle urne ha dimostrato non aver condizionato gli elettori fino al punto da trascinarli in massa al voto.