Repubblica 16.4.16
Quattro presidenti per un referendum
di Ilvo Diamanti
DOMANI
gli italiani sono chiamati a esprimersi su un argomento specifico e
definito. Riguarda le concessioni degli impianti di trivellazione attivi
entro le 12 miglia dalla costa italiana “fino all’esaurimento dei
giacimenti”. Anche se, in effetti, la questione ha assunto,
progressivamente, un significato diverso. Molto più “politico”. Che
chiama in causa il governo e, in particolare, il premier. I sostenitori
del referendum, infatti, puntano a “trivellare” direttamente Renzi.
Anzitempo. A delegittimarlo. La riuscita della consultazione, nelle loro
intenzioni, si tradurrebbe in un giudizio immediato — cioè: senza
mediazioni — sul presidente del Consiglio. Il quale, d’altronde, pare
d’accordo con questa impostazione “strumentale” della campagna
referendaria. Visto che, a sua volta, ha definito il referendum una
«bufala». Esprimendo il suo sostegno alla scelta di non scegliere.
Schierandosi, cioè, a favore del “voto di chi non vota”. L’astensione.
Definita, d’altronde, legittima dal presidente della Repubblica emerito,
Giorgio Napolitano. Intervenuto in aperta polemica con il presidente
della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, che nei giorni scorsi aveva,
invece, stigmatizzato gli inviti all’astensione. E, in fondo, gli
astensionisti dichiarati.
Così, chi pensa che sia in gioco la
qualità dell’ambiente e delle nostre coste, in effetti, si sbaglia.
Perché la posta in gioco è diversa. Nell’ultimo periodo, almeno, è
cambiata radicalmente. Votare sì oppure no, ma, soprattutto, votare
oppure “non” votare, si tradurrà in voto “per” oppure “contro” la
stabilità di governo. “Per” oppure “contro” questo governo. In filosofia
si parlerebbe di “eterogenesi dei fini”. Per sottolineare la
trasformazione del significato e dei risultati di un’azione rispetto
agli obiettivi originari. O, almeno, rispetto ai fini e agli obiettivi
espliciti e dichiarati. Renzi, d’altronde, ha avviato, a sua volta,
un’operazione simile. Su una questione di contenuto molto diverso. Il
presidente del Consiglio ha, infatti, dichiarato che il referendum sulla
riforma costituzionale, che si svolgerà il prossimo autunno, avrà, come
posta in palio, la sorte stessa del suo governo. Visto che, se gli
elettori bocciassero la sua riforma, Renzi si dimetterebbe. Considerando
la scelta degli elettori, in questo caso, come una scelta sul suo
operato. E, dunque, come un voto di sfiducia popolare.
Naturalmente,
c’è un’evidente asimmetria tra le due sfide. Non solo per il contenuto:
da un lato le trivelle, dall’altro il superamento del bicameralismo
paritario e il ridimensionamento del Senato. Ma anche per le regole
della consultazione. Perché, nel caso del referendum sulla riforma
costituzionale, non è richiesto il quorum. Non c’è bisogno che voti la
maggioranza degli elettori aventi diritto. L’esito dipenderà dal
confronto fra voti a favore e contrari alla riforma. Al contrario di
quanto avverrà nella consultazione sulle trivelle, che avrà luogo
domani. Che dipenderà non solo dal sostegno al quesito proposto, ma,
anzitutto, dalla partecipazione al voto. E, quindi, dall’astensione. Non
votare, in questo caso, assumerà lo stesso significato di un voto
contrario. Visto che per “validare” la consultazione occorre
un’affluenza superiore alla maggioranza assoluta degli elettori “aventi
diritto”. Così, il non voto diventa un voto a tutti gli effetti. È “il
voto di chi non vota”, come recita il titolo di una nota ricerca
dell’Istituto Cattaneo pubblicata nel 1983 (a cura di Pasquale
Scaramozzino e Mario Caciagli). È, infatti, questa la principale
spiegazione del “fallimento” di gran parte dei referendum degli ultimi
20 anni. Solo uno su sette, infatti, ha superato il quorum (come ha
segnalato ieri Roberto D’Alimonte sul
Sole 24 Ore). Quello sul
nucleare e sull’acqua pubblica, che si è svolto nel 2011. Nessun altro.
Lo stesso referendum del 1999, che mirava ad abolire la quota
proporzionale dagli eletti con il Mattarellum, fallì, anche se per pochi
voti. Visto che superò, allora, il 49% dell’affluenza. D’altra parte,
l’astensione cumula componenti diverse. Oltre alla scelta “strategica”,
di chi non vota consapevolmente, per tecnica di opposizione al
referendum, c’è la componente “fisiologica”, di chi non vota per
inerzia, dis-interesse. Svalutazione e indifferenza. Due orientamenti
opposti e quasi alternativi, che, tuttavia, convergono nella stessa
direzione. Verso il medesimo risultato.
Il problema di questa
impostazione è l’evidente dissonanza cognitiva tra finalità dichiarate e
reali. Latenti ed evidenti. Domani, per esempio, chi parteciperà al
voto perché è sinceramente convinto del danno ambientale prodotto dalle
trivelle voterà, comunque, anche contro Renzi. Mentre, al contrario, chi
scegliesse di non votare, perché si sente del tutto estraneo e
indifferente rispetto al quesito referendario, esprimerebbe il proprio
sostegno — non solo implicito — al governo. In attesa della prossima
contesa, intorno alla riforma costituzionale. Destinata a diventare,
anch’essa, un referendum su Renzi.
Non so davvero come sia
possibile garantire il funzionamento delle nostre istituzioni e — mi si
perdoni l’ardire — della nostra stessa democrazia, quando le
consultazioni referendarie diventano forme di lotta politica con altri
mezzi. E quando diventa difficile capire per chi e per cosa si vota.
Così può capitare che, sulla questione delle trivelle — importante, ma
specifica — scendano in campo, in modo polemico, il presidente del
Consiglio, ma anche il presidente della Repubblica emerito, il
presidente della Corte Costituzionale e la stessa presidente della
Camera. Insomma, quattro presidenti.
Non oso pensare cosa avverrà
nei prossimi mesi, quando partirà la campagna del referendum su Renzi,
pardon, sulla riforma costituzionale. Per rispettare le proporzioni fra
il Senato e le trivelle, potrebbero scendere in campo anche Hollande, la
Merkel. Mentre Obama si asterrebbe solo perché è a fine mandato. E
perché avrebbe problemi ad arrivare dagli Usa in tempo per votare.
Certo, i fatti nostri non li riguardano. Ma quando mettono in
discussione la stabilità del sistema di alleanze a livello europeo e
internazionale, perché stupirsi?