Repubblica 16.4.16
Il petrolio alla prova della verità
di Tomaso Montanari
DALLA
parrocchia di San Paolo a Siracusa (che, seguendo le indicazioni della
Cei, indice una discussione pubblica) fino al presidente della Corte
Costituzionale Paolo Grossi (il quale ricorda che «si deve votare» per
essere «pienamente cittadini»), una parte del Paese si prepara a
giocare, domani, la partita del referendum sulle trivellazioni
petrolifere. Una partita davvero importante: perché può indirizzare non
“solo” la politica energetica del Paese, ma anche dare una indicazione
fondamentale per la qualità della nostra democrazia.
Il quesito è,
come è noto, l’unico sopravvissuto di un pacchetto voluto da nove
regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria,
Liguria, Campania e Molise) per combattere la svolta centralista sancita
dalla più discutibile fra le leggi del governo Renzi, lo Sblocca Italia
firmato dall’allora ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi. Con
questa legge il governo centrale ha spogliato le regioni “petrolifere”
del potere di decidere del proprio destino: per le estrazioni in
terraferma, per esempio, è stato introdotto un titolo concessorio unico
rilasciato dal ministero dello Sviluppo economico, mentre per le
procedure di valutazione d’impatto ambientale relative ai permessi di
ricerca e alle concessioni di coltivazione la competenza è passata dagli
enti locali al ministero dell’Ambiente.
Per queste e altre
analoghe ragioni i Consigli regionali hanno raccolto una spinta dal
basso: 65 — su 131 — Comuni lucani hanno, per esempio, chiesto alla
giunta regionale della Basilicata di impugnare dinanzi alla Corte
Costituzionale l’articolo 38 dello Sblocca Italia.
In questo
senso, il referendum di domenica prossima è una specie di prova generale
di quello oppositivo di ottobre sulla revisione costituzionale. Uno dei
tratti meno commentati di quest’ultima è l’abbandono di un progetto
federalista e la correzione del Titolo V in senso decisamente
centralista, riservando esclusivamente allo Stato materie come trasporto
e navigazione, comunicazione, energia, promozione della concorrenza,
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,
disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, tutela e
sicurezza del lavoro, politiche sociali, istruzione e formazione
professionale.
Lo storytelling del “fare” e dello “sbloccare
l’Italia” caro al presidente del Consiglio presenta questa scelta come
l’asfaltatura dei «comitatini del no» e il superamento della sindrome
Nimby (acronimo di Not in my back yard: «non nel mio cortile»). Ma il
mondo della cittadinanza attiva ribatte che l’attenzione alla salute
umana e la sollecitudine per la sopravvivenza dell’ambiente sono
necessariamente legati alla “mente locale” (così Salvatore Settis) delle
comunità residenti.
Da questa parte si è schierato anche papa
Francesco, con un passaggio particolarmente forte della enciclica
Laudato Si’: «È sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori
sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e
alternative.
Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato
gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per
sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità
che trascendono l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare
l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e
dibattute da tutte le parti interessate. La partecipazione richiede che
tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari
rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un
progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante.
C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e
politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno
dalla legislazione».
Queste ultime parole toccano il punto
cruciale: se si vuole davvero ricomporre gli interessi locali in un
interesse pubblico generale lo si può fare solo in «sincerità e verità
».
Non si possono esautorare dal processo decisionale le comunità
locali, facendo saltare tutti i contrappesi al potere centrale, e
contemporaneamente dare l’impressione (o la certezza) che le decisioni
di quest’ultimo potere non siano ispirate da un vero, largo interesse
generale, ma da interessi privati che non emergono nel dibattito
parlamentare, ma solo nelle intercettazioni telefoniche di membri
dell’esecutivo. L’emendamento Tempa Rossa non è, in questo senso, un
caso isolato perché le carte dell’inchiesta fiorentina sulle Grandi
Opere (che costò la poltrona a Lupi) hanno già dato uno spaccato
impressionante della genesi della sezione dello Sblocca Italia relativa
alle autostrade.
In una democrazia moderna si possono, e si
devono, rivendicare le ragioni del “fare”: ma bisogna essere del tutto
sinceri, trasparenti e verificabili su ciò che si vuole fare, e sulle
ragioni per cui ciò rappresenterebbe il bene comune.
Per questo
una stretta centralista non dovrebbe mai accompagnarsi alla tentazione
di limitare l’azione della magistratura o il campo visivo della stampa, e
dunque dei cittadini. E per questo il sì al referendum di domenica
prossima è anche un sì alla necessità di «sincerità e verità» nel
governo del Paese.