Repubblica 16.4.16
Iraq, nuova missione Gli elicotteri italiani in prima linea contro il Califfato
Entro fine mese 8 velivoli saranno operativi nella zona di Mosul: per proteggere la diga e aiutare i curdi
In poche settimane anche 450 soldati arriveranno a difesa degli operai della Trevi
di Gianluca Di Feo
ROMA.
Missioni in «condizioni non permissive»: un eufemismo formidabile che
mimetizza l’ingresso dell’Italia nella prima linea della guerra contro
lo Stato Islamico. Nel 1999 i bombardamenti in Kosovo vennero chiamati
«difesa integrata», oggi invece in Iraq comincia «l’attività di
personnel recovery in condizioni non permissive».
Cosa significa?
Otto elicotteri italiani interverranno per soccorrere feriti e
recuperare soldati accerchiati. Se necessario, lo faranno anche sotto il
fuoco nemico, combattendo e atterrando alle porte di Mosul, la capitale
del Califfato. Per questo a Erbil è cominciato lo schieramento della
brigata Friuli, la nostra “cavalleria dell’aria” che traduce in tattiche
moderne le azioni congiunte di elicotteri e fanti rese celebri dal film
“Apocalypse now”. I primi quattro velivoli sono già arrivati nel
Kurdistan iracheno, il resto dello squadrone li raggiungerà entro fine
mese. La stampa locale li ha accolti con entusiasmo: i peshmerga non
hanno mai avuto un sostegno così potente.
I nuovi soldati saranno
solo 130, tutti veterani e specialisti in questo genere di operazioni ad
alto rischio. Ma grazie agli italiani adesso i battaglioni curdi
possono contare notte e giorno su quattro elicotteri NH90, uno dei mezzi
migliori esistenti al mondo, con dotazioni d’avanguardia: hanno cabine
blindate, apparati per evitare i missili terra-aria, mitragliere a canne
rotanti. Ognuno trasporta due squadre di incursori con i loro
equipaggiamenti oppure tre barelle con la strumentazione medica per la
prima assistenza. Ma a incoraggiare i peshmerga è soprattutto
l’imminente arrivo di quattro elicotteri da battaglia Mangusta, le
cannoniere volanti che proteggono i nostri soldati in tutte le missioni
estere. Sono velivoli corazzati, armati con un pezzo a tiro rapido e
missili a guida laser: in Afghanistan i Taliban fuggono al solo rumore
dei loro rotori, perché si sono dimostrati uno “strumento di deterrenza”
- altro eufemismo militare - impressionante. I documenti interni del
Pentagono rivelati da Wiki-Leaks descrivono decine di raid condotti dai
Mangusta, con un numero di vittime rimasto top secret.
La nuova
spedizione in Iraq invece non è un segreto. A febbraio il ministro
Roberta Pinotti l’ha annunciata in tutte le sedi. Ma forse i nostri
parlamentari, spesso disattenti alle questioni militari, ne hanno
sottovalutato l’impatto operativo. Perché lo squadrone della Friuli
entrerà in azione a maggio, in contemporanea con l’attesa offensiva per
liberare Mosul, la città dove al Baghdadi ha proclamato il Califfato.
Non
sarà una passeggiata. Lo Stato Islamico è sicuramente in difficoltà e
si sta ritirando su tutti i fronti. Ha meno finanziamenti, meno
volontari stranieri, meno rifugi sicuri ma resta comunque temibile. I
miliziani con la bandiera nera si stanno concentrando nelle città più
fedeli, trasformandole in roccaforti protette da ogni genere di trappola
esplosiva: il centro di Ramadi, riconquistato due mesi fa, non è stato
ancora bonificato dalle mine. E, nonostante i colpi subiti, i
battaglioni dello Stato Islamico non rimangono sulla difensiva. Lanciano
sortite continue, soprattutto contro le basi dell’esercito iracheno,
nel tentativo di demoralizzarne i ranghi. Mandano kamikaze alla guida di
camion imbottiti di tritolo e coperti di lastre d’acciaio,
“rinoceronti” con cui sfondano i check point e fanno saltare in aria le
caserme. Il cuore degli scontri è la cittadina di Makhmour, il
trampolino per l’assalto verso Mosul.
I generali occidentali
credono che per espugnare la capitale del Califfato servano tra 24mila e
36mila soldati. Finora però il governo di Bagdad è stato in grado di
raccogliere meno di 5mila uomini, un’armata troppo piccola per
l’assedio. Gli americani cercano di sostenerla in tutti i modi. I
marines hanno costruito una base d’artiglieria, che copre con i suoi
cannoni a lungo raggio i movimenti delle colonne irachene. E ogni giorno
gli aerei della Coalizione internazionale bombardano i fortini dello
Stato islamico intorno a Mosul: solo giovedì ci sono stati 21 raid. I
piani per la grande offensiva però sono frenati dalla situazione
politica di Bagdad, dove il primo ministro Abadi affronta da settimane
una crisi che paralizza il parlamento e blocca le mobilitazione. Una
situazione che preoccupa pure le Nazioni Unite, che temono di vedere
l’Iraq frantumarsi in tanti staterelli l’uno in conflitto con l’altro:
«L’unico partito che trarrà vantaggio da queste liti e
dall’indebolimento delle istituzioni è il Daesh», hanno dichiarato ieri i
rappresentanti dell’Onu.
È in questo scenario confuso che
atterrano a Erbil gli otto elicotteri italiani. E che cominciano i
sopralluoghi per una missione molto più complessa: i lavori della diga
di Mosul, affidati alla Trevi di Cesena. Sarà un cantiere colossale -
l’opera di cemento è alta 131 metri e lunga più di tre chilometri - e
verrà protetto da altri 450 fanti, con mezzi blindati e armi pesanti.
Questa task force entro l’estate diventerà il più importante contingente
occidentale in Iraq: nessun paese straniero ha tanti soldati in una
singola posizione. Una base enorme da difendere, a venti chilometri
dalle posizioni del Califfato.