sabato 16 aprile 2016

La Stampa 16.4.16
Renzi: non è un voto politico
Ma il partito della spallata ci crede e guarda già a ottobre
Nel Pd si consulta il meteo per prevedere la soglia di affluenza
di Carlo Bertini

D’improvviso, sul palmo della mano del dirigente piddì spunta uno smartphone: sul display non compaiono sms del capo o messaggi in codice, ma un piccolo sole giallo oro e una parola magica, «Domenica 17 aprile». «Visto, ci sarà bel tempo. Il che a Roma significa giornata al mare!». Clic sulla cartina generale, «ricontrollo, non sia mai ci fossero nuove previsioni...no, ecco, bel tempo quasi in tutta Italia!». Risata liberatoria, dopo aver analizzato le possibili previsioni, la più funesta delle quali sarebbe un’affluenza al referendum sulle trivelle tra il 35 e il 40% degli aventi diritto.
Previsione che gira anche a Palazzo Chigi, anche se gli uomini del premier scommettono che sarà più bassa. In ogni caso pure un 40% di votanti per i big del Pd non sarebbe una sorpresa, «visto che in campo c’è tutto l’arco costituzionale tranne noi, Casapound compresa...». Ma sarebbe «comunque tanto», perché ciò vorrebbe dire, numeri alla mano, circa 20 milioni di italiani alle urne: con una quota di 15 milioni di italiani schierati contro il governo, ovvero per il sì. Si calcola infatti che un buon 75% delle croci sarà vergato a favore della sospensione delle concessioni. Un numero di voti che verrebbe impropriamente connotato come tutti anti-Renzi, «e chi lo dice che quelli contrari alle trivelle siano tutti nemici del Pd?» Ma che in ogni caso farebbe riflettere lo stato maggiore del partito. Su cosa? Intanto su quello che un ambientalista renziano come Ermete Realacci, che comunque voterà sì, giudica un errore politico: non aver disinnescato questo referendum, «è frutto di una sottovalutazione del problema». Perché se si è riusciti a tamponare con le norme cinque quesiti, si poteva evitare pure il sesto. Un errore che potrebbe sottrarre punti allo score renziano. Tanto che il premier prova a spersonalizzare la battaglia. «Non è un voto politico, riguarda 11 milioni di lavoratori e il loro futuro». Con toni più soft: «Non è un referendum astratto, riguarda le scelte energetiche italiane. Noi rispetteremo il volere dei cittadini: chi vuole votare sì è libero di farlo, chi vuole farlo fallire può non andare a votare. Tutte le posizioni sono legittime».
Ma gli avversari del premier considerano quella di domenica una prova generale della sfida d’autunno capace di far cadere il governo, tanto che si è mobilitato un fronte poliedrico e variopinto che spazia da destra a sinistra del panorama politico (Sinistra Italiana, sinistra Pd, 5Stelle, Lega, Forza Italia) passando per una serie di governatori, Emiliano, Toti, Zaia. La sintonia di toni del fronte anti-governativo è significativa. «Andiamo tutti a votare per mandare a casa Renzi», è il grido di battaglia di Brunetta. «Se voteranno contro il governo 15 milioni di persone vuol dire che a ottobre possiamo farcela», va dicendo da giorni Alfredo D’Attorre di Sinistra Italiana. Sviluppando la tesi secondo cui il fronte del sì al referendum sulle trivelle è sovrapponibile al fronte del no a quello sulle riforme. «Di questo referendum si fa un uso improprio, il merito è stato stravolto», obietta il numero due del Pd Lorenzo Guerini. «E sarà in ogni caso altra cosa rispetto al referendum di ottobre in cui siamo certi che gli italiani sapranno scegliere tra un cambiamento che rafforza il paese e un’instabilità che lo danneggia». Insomma la plancia di comando Pd non teme l’effetto trascinamento, se non altro perché «tra quelli che andranno a votare sì domenica molti voteranno a favore del referendum costituzionale in ottobre». Insomma la tesi che prevale è: proprio perché si è caricato di peso politico questo referendum al di là del merito, se la maggioranza di italiani non andrà a votare sarà un segnale di forza per il premier.