Repubblica 14.4.16
La strategia del regime: asse con Francia e Arabia contro il pressing dell’Italia
La
spinta degli ultimi accordi commerciali ha restituito forza all’Egitto:
trovare la verità sulla morte di Regeni diventa ora più difficile
La sortita arriva alla vigilia della rogatoria della procura di Roma, che partirà oggi
Le incertezze dell’Europa contribuiscono a indebolire ogni forma di pressione
di Carlo Bonini
DA OGGI, la strada che porta alla verità su Giulio Regeni, si fa ancora più stretta.
E
quel che è peggio, in undici settimane, tante ne sono trascorse dal 3
febbraio, il nostro governo sembra aver definitivamente perso la leva,
gli argomenti e l’attimo utili a convincere il Cairo che l’occultamento
della verità sarebbe costata al regime un prezzo infinitamente superiore
al suo svelamento. Le acque, fino a ieri quantomeno agitate, si sono
richiuse. Nel giorno in cui la Procura di Roma firma la richiesta di
rogatoria (dovrebbe partire oggi) con cui si torna a chiedere all’Egitto
ciò che l’Egitto ha annunciato di non voler consegnare (tabulati
telefonici, prove forensi, accertamenti tecnici), Al Sisi scagiona
pubblicamente gli apparati di sicurezza del Paese da ogni
responsabilità, quale che sia, nell’omicidio, ricomponendo, ammesso vi
sia stato, il conflitto interno al regime. Nel merito, riporta le
lancette dell’affaire al suo giorno uno, riproponendo la screditata
pista della “criminalità organizzata” (cara al potente ministro
dell’Interno Magdi Abdel Ghaffar e al generale Khaled Shalaby), per
giunta tornando provocatoriamente ad associare la morte di Giulio alla
scomparsa a Roma di un cittadino egiziano in circostanze affatto
misteriose. E la mossa non è casuale, perché figlia di una ritrovata
forza data dalla chiusura negli ultimi giorni di nuovi accordi economici
e strategici con l’alleato Saudita e dall’imminente firma di nuove
commesse, militari e non solo, con la Francia di Hollande.
Il
Presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi è oggi libero dalla minaccia
concreta e imminente di isolamento internazionale che, ancora una
settimana fa, sembrava allungarsi sul regime. Il consueto balbettio
dell’Europa, il silenzio di Palazzo Chigi, che dopo il richiamo
dell’ambasciatore a Roma per consultazioni, non ha evidentemente ancora
in testa come e fin dove spingere la sua annunciata «pressione
proporzionata », hanno convinto Al Sisi ad andare a leggere le carte
italiane prima che qualcuno andasse a leggere le sue. Gli accordi
commerciali e finanziari per 16 miliardi di dollari stipulati nei suoi
cinque giorni di visita al Cairo dal sovrano saudita Salman Ben Abdel
Aziz, con la chiusura della decennale contesa sulle due isole nel Mar
Rosso di Sanafir e Tiran (occupate in passato da Israele, quindi
riconquistate dall’Egitto e ora riconosciute territorio Saudita), non
solo danno ossigeno alle casse del regime, ma gli consentono di avere
una solida linea di credito con cui chiudere affari e nuove commesse di
armi con la Francia.
Il 18 aprile, Hollande sarà infatti al Cairo
e, a dispetto della lingua della diplomazia e delle rassicurazioni che
il “dossier Regeni” è nell’agenda degli incontri con Al Sisi, nonostante
la mobilitazione delle Ong francesi, si prepara a chiudere nuove
commesse per la fornitura di armamenti (oltre 1 miliardo di euro per la
fornitura di 6 corvette, che si sommano agli 8,2 miliardi già incassati
per la vendita di 24 caccia multiruolo Rafale e due portaelicotteri
classe Mistral, originariamente destinate alla Russia di Putin e quindi
dirottate sul Cairo dopo le sanzioni), nonché una trentina di accordi
commerciali e almeno una decina di protocolli di intesa utili a far
salire gli scambi commerciali tra i due Paesi (oggi fermi a 2,5 miliardi
di euro) che inietteranno altro cemento nelle fondamenta del regime
militare.
Nel rinsaldato triangolo Cairo- Riad-Parigi, il
Presidente Abd al-Fattah al-Sisi, ha insomma ora buon gioco a degradare
«l’irritazione italiana» e la «richiesta di verità» del nostro
Presidente del Consiglio a una pistola scarica. E si prepara a incassare
lo spettacolo di debolezza che di qui a prossimi giorni — Gentiloni è
ancora in attesa di “lumi” da Renzi sul da farsi — produrrà la
«proporzionalità» delle misure annunciate da Roma. Non fosse altro
perché appariranno all’opinione pubblica egiziana, ma soprattutto
italiana, non solo irrilevanti sotto il profilo del potenziale “danno”
al Regime, ma persino “tardive”.
Fino a ieri sera, infatti, la
linea immaginata da Palazzo Chigi era quella di continuare a tenere
agganciate le nostre mosse diplomatiche al corso dell’inchiesta
giudiziaria, e dunque di attendere un nuovo “no” egiziano alla rogatoria
della Procura di Roma che oggi partirà per il Cairo, prima di far
seguire al «richiamo dell’ambasciatore per consultazioni» un qualsiasi
nuovo segnale. È ragionevole pensare che la rumorosa mossa di Al Sisi
obblighi ora il Governo a un cambio di programma. Con una certezza,
tuttavia. Da ieri, i rapporti di forza con il Cairo, sono mutati. E il
generale Abd al-Fattah al-Sisi, da militare quale è, sa quanto contino.
Palazzo Chigi gli ha offerto in queste undici settimane un vantaggio in
cui probabilmente non sperava. Il tempo. Lo ha utilizzato per ridefinire
i termini di una partita che poteva travolgerlo e, al contrario,
rischia oggi di umiliarci.