giovedì 14 aprile 2016

Repubblica 14.4.16
Ritorno in biblioteca
In Italia sono oltre seimila le public library che cercano di resistere. Lo fanno trasformandosi in nuovi luoghi di socialità con orari prolungati e offrendo servizi che vanno al di là del prestito dei libri
E se, soprattutto al sud, fondi e wifi scarseggiano, i volontari fanno il miracolo
di Simonetta Fiori

Qualcosa vorrà dire se Murakami, il più cool tra i nostri romanzieri globali, vi ha ambientato di recente una delle sue fiabe più terrificanti. A cominciare dalla figura del bibliotecario, una creatura mostruosa che è l’unica vivente in un regno di polvere e solitudine. Le biblioteche al tempo di Google rischiano di diventare luoghi obsoleti e mummificati, almeno nell’immaginario comune. Un bancone del prestito più severo d’una dogana australiana, libri imbalsamati dietro teche di vetro, tempi letargici per la lettura. Ma è proprio così?
Forse Murakami non è stato mai a Librino, periferia di Catania, dove tra distese di cemento continuano a fiorire le ginestre. Ottantamila abitanti con pochi servizi e molti problemi. Da qualche tempo, in un giardino che era stato preda dei vandali, i bambini si ritrovano nella “Librineria”, una biblioteca allestita da una squadra di rugbisti insieme ai volontari dell’associazione Iqbal Masih. Una iniziativa analoga è stata promossa nel cuore della città, nel quartiere di san Cristoforo, ad alta densità criminale: libri in prestito per i più piccoli e corsi di cucito e di danza per le mamme, perché donne e bambini sono i più esposti alle intemperanze di famiglia. Non dobbiamo spostarci di molto per arrivare a Rosarno, la città calabrese simbolo della rivolta degli immigrati: in una palazzina molto dimessa è attiva una mediateca civica dove si incontrano architetti italiani e lavoratori nordafricani per condividere la progettazione dello spazio urbano. Sono in tutto cento metri quadri, ma danno conforto a molti, compaesani e migranti.
Oggi le biblioteche in Italia sono anche questo: luoghi di socialità tenuti in vita soprattutto da volontari per rappezzare periferie ferite. Ed è il primo miracolo di questi monaci del libro, numerosi in vari paesi del Sud. Il secondo consiste in un altro rovesciamento, ossia la parziale riscrittura della mappa geografica delle oltre seimila biblioteche pubbliche (dipendenti da enti locali) che ci viene consegnata da due ultimi recenti sondaggi condotti dal Centro per il Libro insieme ad Aib, Anci e Istat. Perché stando alle rilevazioni dei grafici e dei numeri è impossibile sfuggire al consueto schema delle due Italie: anche il paese delle public library marcia a due velocità, con un’Italia europea che costruisce nuove luminose strutture, ne fa crocevia di culture diverse, affianca alle scaffalature dei libri corsi di vario genere per un pubblico di tutte le età e di tutte le etnie — la macroarea che dal Trentino e dal Friuli arriva all’Emilia Romagna includendo il Veneto, la Lombardia, la Val d’Aosta e il Piemonte — e un’Italia minore dove la biblioteca è spesso una targa che nasconde locali angusti, orari penalizzanti e una concezione ammuffita del mestiere.
«Il grande buco nero del Mezzogiorno », lo definisce Antonella Agnoli, una sorta di missionaria delle biblioteche civiche che passa la vita a viaggiare per la penisola per sondarne la vitalità anche in termini di benessere sociale per la comunità. E anche questo nuovo rapporto da lei curato per il Cepell e l’Anci, che sarà presentato al Salone del Libro, pur limitato a quaranta biblioteche italiane ci mostra un grave sbilanciamento tra Nord e Sud, non solo per il numero delle strutture sul territorio e la diversa cura del progetto architettonico, ma anche per la qualità dei servizi, l’orario, la capacità di aggiornare il patrimonio librario e le offerte culturali, per non dire del wifi e della presenza nei social network. «Spesso non sono neanche in grado di rispondere perché manca la posta elettronica: duemila biblioteche non hanno la email. Possibile?».
Di questo passo si muore. Dal rapporto del Cepell aggiornato al 2014 risulta che 380 strutture hanno chiuso, non si sa se temporaneamente o in via definitiva. Anche l’incompletezza delle informazioni in sede istituzionale è la spia di un rapporto problematico. «In Italia non abbiamo mai avuto una particola-biblioteca re cura delle nostre public library, considerate un genere inferiore rispetto alle grandi biblioteche di conservazione», dice Agnoli. «Non sono mai diventate un servizio necessario, piuttosto un optional legato alla lungimiranza del singolo amministratore ». Due cifre, in particolare, ne fotografano la crisi. La prima riguarda l’incremento del patrimonio librario, fortemente rallentato per mancanza di risorse. Nel corso del 2014 quasi una biblioteca su quattro ha speso meno di mille euro per l’acquisto di materiale bibliografico, mentre una su dieci non ha ricevuto finanziamenti. L’altro numero registra un flusso di visitatori sempre più esiguo: nel corso di quello stesso anno è stato rilevato un passaggio medio pari a seimila visite per ciascuna biblioteca. Ma attenzione: una biblioteca su cinque ha contato meno di cinquecento visite, ossia due al giorno. Naturalmente i colonnini schizzano in alto nell’Italia che tiene aperto nel weekend e allunga l’orario alle ventidue, mentre precipitano nel Mezzogiorno che chiude all’ora di pranzo ed è blindato nel fine settimana. Con l’eccezione della Sardegna che da decenni ha investito nel sistema bibliotecario regionale ed è stata premiata da indici di lettura oggi in controtendenza rispetto al resto del paese.
Talvolta le biblioteche nascono per fermare l’emorragia non solo dei lettori ma anche della stessa popolazione. A Neoneli, un borgo di settecento abitanti tra i vigneti del Barigadu, il sindaco Salvatore Cau ha ristrutturato un edifico storico per creare un centro culturale il più possibile attraente. Il suo sogno, racconta, è che i più giovani siano trattenuti dalla grande fuga verso le città.
Le biblioteche sopravvivono solo se si trasformano in case accoglienti e ibride, «con sportelli informagiovani, informalavoro e turistici, come accade nelle strutture anglosassoni», racconta Agnoli. E come accade vicino a Jesi, nelle Marche, nella ex fornace ottocentesca di Maiolati Spontini: una operosissima “casa della conoscenza” nata dai sei milioni di euro guadagnati con una discarica modello, inizialmente osteggiata dai cittadini.
Non molto lontano, a Fano, la mediateca è stata un regalo dell’armatore Corrado Montanari, che in questi giorni vi ha aggiunto un pianoforte a coda. «Una piazza del sapere che mescola lettura, musica arte», dice Montanari al telefono vincendo una consueta ritrosia. Una piazza sempre più affollata da visitatori di età diversa. Perché soprattutto nei passaggi storici economicamente meno floridi le biblioteche possono diventare luoghi per tamponare solitudine e infelicità. Proprio il contrario dell’orrifico antro disegnato da Murakami.