Corriere 14.4.16
Dossetti organizzatore di cultura lungo la frontiera tra Dio e Cesare
di Francesco Margiotta Broglio
Q
uando, nell’autunno del 1950, un giovane Paolo Prodi raggiunge a Milano
l’ateneo di padre Agostino Gemelli, Giuseppe Dossetti, che
all’Università Cattolica si era formato come assistente di Vincenzo Del
Giudice (tra i fondatori con Luigi Sturzo del Partito popolare),
insegnava Diritto ecclesiastico e canonico a Modena dal 1942. Ed è
proprio Dossetti a segnalarne l’«eccezionale valore» a Gemelli perché
ottenga «un posto gratuito» nel Collegio Augustinianum, nonostante il
conterraneo non avesse seguito i suoi consigli «giuridici» e si fosse
iscritto a Scienze politiche.
Nel volume Giuseppe Dossetti e le
Officine bolognesi (Il Mulino) — centrato sul suo legame con Dossetti e
basato sulle «testimonianze personali» di un «rapporto che ha inciso
profondamente» sul suo itinerario di storico, ma anche «come punto di
riferimento e tensione dialettica sulla sua vita complessiva» — Paolo
Prodi menziona tra i docenti Amorth (che sarà la «spalla»
costituzionalistica del Dossetti costituente), Boldrini (che sarà la
«spalla» di Mattei all’Eni), Mengoni e Mario Viora, con il quale si
laurea in storia nel 1954, studiando i rapporti tra Milano e Roma nel
1512-1515.
A Dossetti, «capo carismatico», Prodi deve la
«saldatura», fin dagli anni del liceo, tra la situazione del Paese e la
sua vocazione «allo studio della storia… anche come chiave
interpretativa del presente», imperniata sull’esperienza nella lotta
politica del 1948 e sulle prime letture di Maritain e Mounier, di Tasca e
Omodeo, di Sombart ed Einaudi. Assistente di Viora in Cattolica,
maturerà la scelta dei suoi principali indirizzi di ricerca (Riforma e
Controriforma, papato moderno, «sacramenti» del potere) nel biennio
1957-58 a Bonn con Hubert Jedin, «pontefice» degli studi sul Concilio di
Trento e la cosiddetta Riforma cattolica, senza trascurare alcune
vibrazioni cantimoriane.
Al centro del volume, anzitutto, gli anni
1952-54, che hanno come «perno» la fondazione a Bologna del Centro di
documentazione, poi trasformato da Dossetti da «comunità di ricerca e di
studio» in una «comunità religiosa legata da voti», in coincidenza con
le sue dimissioni dall’Università (1957), precedute da quelle dalla
politica (1951). Una strada che Paolo Prodi non volle imboccare, fermo
alla primigenia impostazione della «comunità» bolognese, ben diversa,
come aveva detto il fondatore nel 1953, dall’«individualismo» di La Pira
e dall’«azienda» di Felice Balbo, e senza continuità con «Civitas
humana» e con il pensiero di Maritain.
Il passaggio dal Centro di
documentazione all’Istituto per le scienze religiose, nonostante la
continuità giuridica, sarà per Prodi il passaggio a un’istituzione ben
diversa dalla «comunità di destino storico rigorosamente laica delle
origini», che si rivelerà, a suo avviso, un «non luogo», provvisto,
però, di un assistente spirituale che avrebbe garantito che tutti i
collaboratori prestassero l’antico giuramento antimodernista. Un
passaggio a cui Prodi dedica, anche sulla base di lettere e documenti
personali che vengono pubblicati, il secondo capitolo del volume, e che
vede il suo distacco, ma anche quello di Angelina Nicora, consorte di
«Pino» Alberigo, e sorella della futura signora Prodi, Adelaide.
Seguono
pagine efficaci sul Vaticano II, sul «bivio» del post-Concilio (con
riferimento all’allontanamento da Bologna nel 1968 del cardinale
Lercaro, forse su pressioni Usa), sull’ipotesi respinta di «laicizzare»
il Centro, sulla sospensione del rapporto di Prodi con esso e sulla sua
successiva «avventura tridentina», con la fondazione dell’Istituto
italo-germanico, sul suo legame con Ivan Illich, sulle vicende
dell’associazione bolognese, definite una historia dolorum , sul
Dossetti dell’ultimo decennio (1986-96). Una testimonianza alta e
diretta, con notazioni di originale spessore, in gran parte inedite,
sulla politica e la cultura italiane del secondo cinquantennio del
«secolo breve», più freddo, ma non meno cruciale del primo .