giovedì 14 aprile 2016

Repubblica 14.4.16
Blog e giornali in inglese, le voci del dissenso
Ecco i mezzi di comunicazione finiti nel mirino del Cairo
E dopo l’editoriale di domenica di “Al Ahram” anche sui quotidiani in lingua araba cominciano a emergere posizioni frondiste
di Francesca Caferri

ROMA. Che i media non fossero una realtà indipendente ma «parte dell’equazione per preservare l’Egitto », per usare le sue parole, Abd al-Fattah al-Sisi lo aveva chiarito già l’estate scorsa, quando il Parlamento approvò una delle leggi sulla stampa più restrittive del mondo. La norma proibisce a chiunque di diffondere notizie «lesive per sicurezza nazionale »: vietata ogni ricostruzione contrastante con la versione ufficiale, pena la detenzione. L’attacco contro i media lanciato ieri dal presidente egiziano quindi non è strano: strano piuttosto è che in Egitto, nonostante tutto, ci siano ancora zone di libera espressione.
La parte del leone in questo senso la fanno i social media: «Se siete stranieri per favore non venite qui» scriveva poche ore dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni l’attivista Mona Seif. Il suo post, finito sui giornali di tutto il mondo, le è costato l’apertura un’indagine giudiziaria. Seif non è stata la sola a parlare: hanno usato Twitter e Facebook per contestare la gestione del caso Regeni Wael Ghonim e Mona Eltahawi, volti simbolo della rivolta del 2011, e scrittori come Ahdaf Souef e Ala al Aswani. Tutti in risposta hanno ricevuto insulti e minacce: «Anche sui social media la libertà di espressione è limitata», spiega il professor Andrea Teti dell’università da Aberdeen.
L’altro canale di informazione indipendente sono stati i siti in lingua inglese: dal giornale Mada Masr e da diversi blog sono arrivati resoconti puntuali sulle indagini e sulle versioni fornite di volta in volta dal governo. «Storie incredibili», come le ha definite la blogger Zenobia sul suo Egyptchronicles.
In questo caso le reazioni sono state minori, perché a leggere l’inglese è una minoranza ridottissima della popolazione. «L’Egitto ha una tradizione molto forte di libertà di stampa in inglese – conferma la ricercatrice Catherine Cornet – è quando si passa all’arabo che il quadro cambia: non a caso sin dal primo giorno i media accessibili ai più hanno sposato la linea ufficiale». Per questo l’editoriale con cui domenica scorsa il quotidiano in lingua araba Al Ahram ha invitato apertamente il governo a perseguire i veri responsabili della morte di Regeni, è stato un segnale importante: la prima crepa nel muro dell’informazione di regime.
Con tutta probabilità le origini della presa di posizione odierna di Sisi vanno fatte risalire a quell’episodio. A cui nei giorni scorsi se ne è aggiunto un altro: la cessione all’Arabia Saudita di due isole a lungo contese è stata vissuta come un insulto da parte di buona parte della popolazione e come tale riportata dai media, in una serie di articoli critici del tutto eccezionali nel panorama attuale.
«Tutte queste vicende sono tasselli di un puzzle: in Egitto c’è un forte scontento. Nessuna delle cause strutturali della sollevazione del 2011 ha trovato risposta: non c’è ripresa economica, non c’è sicurezza, la vita quotidiana della gente non è migliorata. Ognuno di questi casi è l’ennesima frattura fra il regime e la gente. È questo a spaventare Sisi», conclude Teti.