Corriere 14.4.16
La società egiziana che si indigna
di Viviana Mazza
Al
Sisi è sulla difensiva. Direttori di giornali prima adoranti non
nascondono più il disappunto per la stretta del regime non solo nei
confronti della Fratellanza musulmana ma anche di attivisti liberal e
laici, nonché per la cattiva gestione di una serie di crisi,
dall’inchiesta su Regeni alla decisione di cedere due isole del Mar
Rosso all’Arabia Saudita. Mentre ieri il raìs additava i media egiziani
come responsabili per la crisi con l’Italia, Osama Al Ghazaly Harb,
editorialista del quotidiano di Stato Al Ahram diceva al Corriere : «La
colpa non è dei media, dal mio punto di vista è del governo».
L’ex
politico del Fronte Democratico (ex sostenitore e poi oppositore di
Mubarak) che nei giorni scorsi ha scritto una lettera di solidarietà al
popolo italiano su Giulio, spiega che il ministro dell’Interno dovrebbe
dimettersi. «Era sua la responsabilità di arrivare alla verità, suo il
fallimento nel fornire abbastanza informazioni». Con Al Sisi è meno
duro, ma difende la libertà dei media: «La ricerca della verità è un
diritto della gente e dei giornalisti in un Paese democratico. Non posso
dire che l’Egitto sia autocratico ma non è nemmeno democratico, è una
nazione in transizione, dove restano vestigia del vecchio sistema ma ci
sono anche coloro che insistono per avere la democrazia…».
Al Sisi
è sulla difensiva ma anche in uno stato di diniego. «Le autorità del
Cairo sembrano pensare che se continuano a parlare di trasparenza,
questa diventerà una realtà — commenta H.A. Hellyer, studioso del Royal
United Services Institute —. Ma chiaramente Roma non vede affatto questa
trasparenza, né la vede l’opinione pubblica italiana. Al Sisi sa che
c’è una grande pressione, ma sembra incapace di riconoscere fino a che
punto la posizione del Cairo sia ricevuta negativamente in Italia.
Sembra pensare che se continua a fare quel che fa, il problema alla fine
sparirà da solo».
La preoccupazione per gli attivisti e i
giornalisti indipendenti, nel frattempo, è che chiunque contraddica le
autorità sarà sempre più nel mirino. Il discorso di ieri è letto da
molti come una minaccia diretta, che preannuncia un nuovo giro di vite.
«Al Sisi vede nella libertà di espressione e di informazione delle armi
usate contro il regime, dunque dei nemici da combattere», dice al
telefono dal Cairo Mohammed Lotfy, direttore della Commissione Egiziana
per i Diritti e le Libertà. «Crede che le critiche nei suoi confronti
siano un complotto contro la stabilità e le persone che usano il loro
diritto ad esprimersi per criticare le sue decisioni siano nemici dello
Stato. Certo, è sulla difensiva, odia vedere le proprie decisioni messe
in dubbio. Ma non cerca nemmeno di spiegarle. Lui sa tutto, noi dobbiamo
seguirlo ciecamente altrimenti siamo parte di un complotto contro
l’Egitto». Già ieri, alla fine del suo discorso di due ore, così lungo
che qualcuno si è dovuto scusare per andare in bagno, quando un deputato
ha alzato la mano per fare una domanda, Al Sisi ha replicato: «Non ho
dato il permesso di parlare». Alle critiche per aver deciso in gran
segreto di cedere due isole ai sauditi ha dichiarato: «Vi assicuro che
sono l’uomo cui avete affidato la vostra terra e il vostro onore. Per
favore non parliamone più». Qualcosa di simile è accaduto di recente
quando un deputato del Movimento Nazionale Egiziano, in una seduta
pubblica del Parlamento, ha tentato di accennare al caso Regeni, ma è
stato bloccato dal presidente dell’Assemblea: «Questo argomento non si
può trattare in seduta pubblica». Una strategia che chiaramente non
funziona, né con l’Italia né con gli egiziani: questi ultimi ieri sera
sui social media prendevano ferocemente in giro il raìs per aver
invitato parlamentari, ministri e direttori di giornali ad un dibattito
in cui parlava solo lui.