Repubblica 14.4.16
Chi decide sulle intercettazioni
Dalla campagna contro il “bavaglio” si è assistito a uno stillicidio di proposte
di Stefano Rodotà
FU
PROPRIO questo giornale, subito accompagnato dall’attivismo della Rete e
poi dal risveglio delle piazze, ad avviare nel 2010 la campagna “No
bavaglio”, che impedì l’approvazione di una pessima legge sulle
intercettazioni che avrebbe limitato gravemente la libertà
d’informazione. Ma da allora in poi si è assistito ad uno stillicidio di
polemiche e di proposte, quasi sempre insincere e strumentali, che
andavano sostanzialmente nella stessa direzione. Si diceva che era
necessario tutelare la privacy dei cittadini, perché le intercettazioni
avevano fatto nascere una sorveglianza di massa. Tesi del tutto
infondata, ma che cercava di offrire una giustificazione ad iniziative
di una classe politica che voleva costruirsi una rete di protezione che
la mettesse al riparo da una conoscenza diffusa di fatti che avrebbero
messo in evidenza corruzione, conflitti d’interessi, evasione fiscale,
prepotenze privatistiche. Erano i tempi in cui Berlusconi lanciava
appelli che riprendevano l’invito attribuito a François Guizot,
«Arricchitevi » senza farsi troppi scrupoli. Questa legittimazione anche
di comportamenti illegali di massa, che ha molto pesato nel deperimento
dell’etica civile, in realtà serviva a coprire la volontà di liberare
l’esercizio del potere di governo da quella particolare e democratica
forma di controllo resa possibile da una informazione puntuale che
obbliga i soggetti pubblici a rendere immediatamente conto del loro
operato.
Si faticava, e si fatica ancora, ad acquistare piena
consapevolezza di un dato istituzionale che negli Stati Uniti è stato
messo in evidenza fin dal 1964. In quell’anno la Corte Suprema,
decidendo un caso che vedeva il New York Times accusato da una persona
di averla diffamata, stabiliva il principio secondo il quale le “figure
pubbliche” ricevono una tutela giuridica attenuata proprio perché i
cittadini debbono poter esprimere in ogni momento il loro giudizio su di
loro, disponendo di tutte le necessarie informazioni. Questo circolo
virtuoso si ritrova oggi nei più diversi Paesi, ha dato origine a
moltissime sentenze, e riguarda in particolare proprio situazioni di cui
oggi in Italia si discute intensamente, chiedendosi se sia legittimo
rendere pubbliche informazioni sulla vita privata che possono sconfinare
nel pettegolezzo.
Per discutere con buona cognizione dei termini
giuridici del problema, difficile come sempre accade quando si tratta di
stabilire un punto d’equilibrio tra privacy e informazione, è
necessario tener presenti alcuni specifici riferimenti. Il primo è
rappresentato proprio dalla categoria delle figure pubbliche, che non
comprende soltanto i politici, ma pure sportivi e persone del mondo
dello spettacolo, e che si è venuta estendendo per effetto del dilatarsi
del numero di persone che decidono appunto di “vivere in pubblico”.
L’esposizione allo ”sguardo generale” non è il risultato di una
imposizione, ma di una libera scelta della persona, che dev’essere
consapevole del fatto che ciò produce conseguenze sull’intero sistema
delle sue relazioni sociali. E la più rilevante di queste conseguenze è
rappresentata proprio dal fatto che le figure pubbliche, come s’usa
dire, hanno una più ridotta “aspettativa di privacy”.
Questo è il
metro di giudizio al quale ricorrere quando si devono individuare i
criteri per stabilire quali siano le informazioni personali
legittimamente pubblicabili, provengano da intercettazioni telefoniche o
da altre fonti. Criteri che, nel nostro sistema giuridico, hanno
trovato una traduzione precisa nel modo in cui la questione è affrontata
dall’articolo 6 del Codice di deontologia dell’attività giornalistica,
che è un insieme di vere e proprie norme giuridiche, applicabili dai
giudici civili, penali e amministrativi, e non solo da organi
deontologici.
La norma è molto chiara. “La sfera privata delle
persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata
se le informazioni o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o
sulla loro vita pubblica”. Ho sottolineato le parole “alcun rilievo”
perché esse indicano una soglia particolarmente rigorosa e restrittiva
per quanto riguarda l’individuazione dei casi in cui la pubblicazione di
una informazione può essere ritenuta illegittima. Deve poi essere messo
in evidenza il fatto che le parole adoperate in questo articolo —
esercizio di “funzioni pubbliche” — corrispondono a quanto è scritto
nell’articolo 54 della Costituzione, che impone a questi soggetti di
comportarsi con “disciplina e onore”.
Siamo così di fronte
all’attuazione di un criterio costituzionalmente rilevante. E, pur
registrando il fatto che principi e regole costituzionali stanno
conoscendo torsioni assai preoccupanti, sembra davvero difficile
considerare prive di alcun rilievo le parole pubblicate in questi
giorni, che connotano in modo del tutto disonorevole il modo in cui sono
intese e praticate funzioni pubbliche, addirittura ministeriali, sì che
appare del tutto arbitrario derubricarle a «pettegolezzo».
Poiché
siamo in materia propriamente costituzionale, bisogna aggiungere
un’altra riflessione. Si è messo in evidenza, non da oggi, che le nuove
norme sulle intercettazioni sono previste in una delega al governo di
cui è stata ripetutamente sottolineata la genericità, e quindi
l’incostituzionalità, per la mancanza di quei precisi principi e criteri
direttivi ai quali fa esplicito riferimento l’articolo 76 della
Costituzione. Si deve aggiungere che intervenire su diritti
fondamentali, in questo caso quello all’informazione, dovrebbe indurre a
non espropriare il Parlamento di questa delicatissima funzione, che
consente all’intera procedura legislativa d’essere pubblica e
controllabile, mentre la delega la affida al chiuso di commissioni
ministeriali. Si è detto, infine, con una delle tante giravolte
politiche di questi tempi, che non si vuole toccare la disciplina delle
intercettazioni. Tre ragioni che consigliano di stralciare dal disegno
di legge in discussione al Senato una parte così difficile e
controversa.