giovedì 14 aprile 2016

Corriere 14.4.16
Politica e religione, l’intreccio inevitabile
di Antonio Carioti

Separare Stato e Chiesa è già un’operazione faticosa. Ma separare politica e religione sembra proprio un’impresa impossibile, soprattutto nei Paesi musulmani, ma anche nel mondo cristiano, per quanto secolarizzato. È la riflessione che ispirano due dei contributi di maggior rilievo contenuti nel nuovo fascicolo della rivista «Il Mulino», diretta da Michele Salvati, in libreria da oggi.
Il primo articolo, firmato dal sociologo delle religioni Enzo Pace, s’interroga sul persistente deficit democratico delle società arabe, nelle quali il potere si è legittimato a lungo sulla base di un principio carismatico «attorno al capo-salvatore della patria» (tipo il libico Gheddafi, il tunisino Ben Ali, l’egiziano Mubarak), per l’esigenza di colmare il vuoto di autorità determinato nell’universo islamico dalla scomparsa del profeta Maometto. Ma i processi modernizzatori, in particolare la crescita dell’istruzione, il calo demografico, l’erosione dei costumi tradizionali, hanno logorato quelle leadership, generando le proteste variegate delle Primavere arabe.
Il guaio è che, osserva Pace, le trasformazioni sociali espresse da quei movimenti non hanno trovato uno sbocco a livello politico: è mancato il necessario «ricambio delle classi dirigenti». Ne consegue l’attuale poco rassicurante dilemma «tra elmetto e turbante», che vede fronteggiarsi nei Paesi arabi blocchi di potere economico-militari dalla schietta vocazione autoritaria e formazioni d’ispirazione musulmana propense a imporre una verità dogmatica che non tollera dissensi né comportamenti devianti rispetto alla legge del Corano. Se poi si aggiunge che i rappresentanti del «turbante» sono divisi tra i Fratelli musulmani, disposti a qualche forma di mediazione, e gli adepti del salafismo, di gran lunga più fanatici, si capisce quanto preoccupante sia il quadro tracciato nell’articolo di Pace.
Il secondo intervento riguarda invece l’attuale Pontefice e la matrice politico-culturale della sua predicazione. Loris Zanatta non esita a collocare papa Francesco nell’ambito del peronismo, cioè della specifica forma assunta in Argentina dal populismo latinoamericano, che si è sempre presentato come difensore dell’identità nazionale cattolica, molto sentita tra le classi più umili, contro il cosmopolitismo laico dei ceti abbienti.
Questa impostazione, da cui deriva la centralità del concetto di pueblo (popolo) nei discorsi di Bergoglio, induce il Papa a privilegiare il rapporto con i poveri. Ma ne derivano anche una diffidenza verso il mercato e una ridotta attenzione ai diritti individuali che Zanatta giudica in modo piuttosto critico.