Repubblica 13.4.16
Quel che ci lega alla Germania
di Angelo Bolaffi
NON
è un retorico luogo comune definire “particolare” la relazione che lega
Italia e Germania. Significa invece andare diritti al cuore del
problema perché proprio questa “particolarità” indica la specificità, il
modo di essere e al tempo stesso la problematicità del rapporto che
lega i due Paesi: storicamente, politicamente, culturalmente. Sulla
natura di questo legame eternamente in bilico tra profonda attrazione e
malevoli sospetti, entusiastica ammirazione e ricorrenti fraintendimenti
è stato detto quasi tutto. Talvolta anche troppo. Tanto che non è
esagerato affermare che quello delle “incomprensioni” tra italiani e
tedeschi è diventato una sorta di “luogo comune dei luoghi comuni”: un
tema antichissimo, quasi una storia infinita. Per questo è più che
lecito il dubbio se su questo tema sia ancora possibile dire qualcosa di
sensato evitando l’ovvietà delle frasi fatte.
Come ha giustamente
osservato lo scrittore Peter Schneider, un autore che da sempre ha
fatto la spola tra Italia e Germania, persino la critica, necessaria e
sacrosanta, degli ostinati pregiudizi che da sempre gravano sulle
relazioni dei due Paesi appare ormai sin troppo rituale e scontata. E
poi, anche se questo può suonare molto poco “politicamente corretto”,
chi ha detto che incomprensioni e pregiudizi rappresentino solo qualcosa
di negativo? E non invece l’espressione, certo parziale e persino
caricaturale, di un modo di relazionarsi all’altro, una via per
conoscerlo? Un collante che lega e fonda il rapporto, una sorta di lente
sfocata che distorce il reale ma proprio per questo esige un
supplemento di inchiesta. Una deformazione che accende però fantasia ed
emozioni e in qualche caso anche risentimenti e reazioni polemiche.
C’è
un detto, continuamente ricordato quando si parla di relazioni
italo-tedesche, secondo il quale i tedeschi amerebbero gli italiani
senza stimarli mentre all’opposto gli italiani stimerebbero i tedeschi
senza amarli. Non so se davvero sia (ancora) così. Ma è certamente vero
che raramente si è amati per le proprie virtù mentre spesso alcuni vizi
accrescono il fascino. Per questo l’approfondimento e lo sviluppo delle
relazioni tra Italia e Germania si fondano certo sul dialogo razionale
ma si nutrono anche dello scontro emotivo procedendo su un percorso
disseminato di dissidi e di inevitabili attriti.
“Italiani e
tedeschi si conoscono da tanti secoli” ha scritto Luigi Vittorio
Ferraris per lunghissimi anni ambasciatore d’Italia in Germania “tanto
bene da non capirsi”. E infatti è capitato e capita che i due Paesi non
si capiscano. Ma quello che è altrettanto vero è che si conoscono e
sanno di essere legati tra loro da vincoli strutturali e culturali che
non hanno pari in Europa. La Germania è il primo partner commerciale
dell’Italia sia come mercato di sbocco dell’export italiano sia come
Paese di provenienza dell’import italiano. Il volume dell’interscambio è
quasi pari alla somma degli scambi dell’Italia con Francia e
Inghilterra messi assieme. La Germania inoltre è il primo Paese di
provenienza dei turisti stranieri che visitano il nostro Paese. Non
solo. L’Italia ha in Germania tanti istituti di cultura quanti in nessun
altro Paese al mondo. Lo stesso vale anche per la Germania: oltre ai
sette Goethe-Institut occorre infatti aggiungere istituzioni culturali
come Villa Massimo a Roma, Villa Romana a Firenze, sempre a Roma la
Herziana, Casa di Goethe, l’Istituto storico germanico, l’Istituto
archeologico e il Centro di studi tedeschi a Venezia. Infine c’è trait
d’union il Centro italo-tedesco di Villa Vigoni a Menaggio sul lago di
Como. Ma il fondamento decisivo su cui poggia la relazione tra Italia e
Germania è di natura storica. Come “nazioni in ritardo” Italia e
Germania hanno a differenza e più di altre nazioni europee anche per
ragioni geopolitiche una necessità esistenziale nella prospettiva
europea: tanto la “questione tedesca”, infatti, che “la questione
italiana” possono trovare soluzione solo nel contesto di un’Europa unita
politicamente, economicamente e istituzionalmente.
Se è vero che
l’asse franco-tedesco rappresenta il baricentro del progetto europeista è
altrettanto vero che quello italo- tedesco ha funzionato da “freno di
emergenza” nei momenti di crisi. Le prese di posizione di Angela Merkel e
di Mario Draghi nei passaggi decisivi della crisi dell’euro di questa
“intesa cordiale” sono state ennesima conferma. “Gli europei (..) hanno
cominciato a creare un legame tra gli esseri umani che trascende le
vecchie frontiere”: questa affermazione di Tony Judt suona oggi,
purtroppo, ottimista. E proprio perchè la geografia espone l’Italia al
rischio di una epocale e incontrollata migrazione di massa cui potrà
fare fronte solo col sostegno dell’Europa, la Germania di Angela Merkel
dovrà adoprarsi per arrivare a una soluzione europea di una crisi che
altrimenti minaccia al pari della “nuova guerra fredda” voluta da Putin
gli equilibri del Vecchio continente.