Repubblica 12.4.16
Un simbolo inutile
di Andrea Bonanni
UN
MURO di duecentocinquanta metri, come quello che l’Austria vuole
costruire al Brennero, non ferma nulla, se non il buon senso e la
fiducia. Non fermerà i migranti, se l’Italia decidesse di lasciarli
partire verso il Nord. E di certo non fermerà l’ondata di voti populisti
e di estrema destra che minaccia di travolgere il governo austriaco,
vero motivo per cui a Vienna hanno avuto questa bella pensata. Nemmeno
un muro di 430 chilometri, lungo quanto tutto il confine tra l’Austria e
l’Italia, potrebbe fermare la perdita di credibilità politica di una
coalizione tra socialisti e popolari che ha evidentemente smarrito la
bussola dei propri valori fondamentali.
Quello che potrebbe essere
fermato, se l’Austria al di là del muro simbolico decidesse davvero di
chiudere il Brennero, è il flusso di 42 milioni di tonnellate di merci e
di due milioni di tir che rappresenta una delle principali arterie
dell’economia europea. Chiudere il Brennero significherebbe strangolare
l’Europa. Non solo l’Italia. Non solo l’Austria, Ma anche la Baviera, la
Germania, la Polonia, la Repubblica ceca e l’Ungheria. Per questo
motivo Berlino guarda ai sussulti isolazionisti di Vienna con
preoccupazione speculare a quella di Roma.
Pochi giorni fa la
ministra austriaca degli Interni, Johanna Mikl-Leitner, era venuta in
Italia per incontrare il suo collega Alfano. I due ministri avevano
concordato di rafforzare i controlli congiunti alle frontiere con
l’obiettivo di «garantire la fluidità di passaggio al Brennero e di
salvaguardare la libera circolazione prevista da Schengen». Chissà se in
quella occasione la ministra ha almeno avvertito Alfano della sua
intenzione di costruire un muro sul valico. Chissà se Alfano ha cercato
di dissuaderla spiegandole il devastante impatto negativo di un gesto
così altamente simbolico e anti-europeo. Se lo ha fatto, non è risultato
convincente.
In compenso, i due si sono impegnati a sostenere «
una politica europea comune fondata su un’ambiziosa riforma del
regolamento di Dublino», cosa che gli italiani hanno interpretato come
un successo. Ma proprio qui sta uno degli equivoci che rischia di
colpirci come un boomerang. La riforma degli accordi di Dublino, in base
ai quali il primo Paese di arrivo è responsabile della concessione
dell’asilo politico, è sacrosanta ma non risolverà nessuna delle nostre
emergenze. A differenza di quanto avviene in Grecia, tra i trecentomila
migranti attesi quest’anno sulle nostre coste, i siriani e gli iracheni,
che hanno diritto all’asilo politico, sono una minoranza irrilevante.
Quasi tutti i “nostri” profughi, sono migranti economici, che non hanno
diritto di asilo e che, secondo le regole europee, andrebbero
rimpatriati. Dunque, anche se il sistema delle redistribuzioni e delle
quote venisse finalmente messo in pratica, non risolverebbe i nostri
problemi. Gli altri Paesi europei continuerebbero a respingere i
rifugiati che arrivano dall’Italia perchè non hanno titolo per restare
nella Ue. È proprio con questa giustificazione che il governo austriaco
ha infatti spiegato la bislacca decisione di costruire il muro alla
frontiera.
Il nostro problema, più che la revisione degli accordi
sul diritto di asilo, è dunque quello di ottenere che l’Europa si faccia
carico di affrontare tutta l’emergenza migratoria, compreso il fenomeno
dei migranti economici e del loro eventuale respingimento. Perché se
l’Austria può illudersi di fermare gli irregolari ai valichi alpini,
l’Italia non può fermare i barconi di disperati in mezzo al mare a meno
di non macchiarsi di un genocidio inconcepibile. Ma in una Europa che, a
differenza di Vienna o di Budapest, non ha smarrito i propri valori
fondamentali, la sacralità della vita umana è indivisibile. E dovrebbe
diventare responsabilità di tutti. Una responsabilità che, con buona
pace della signora Mikl-Leitner, non può fermarsi ai piedi del muro del
Brennero.