Corriere 12.4.16
La decisione (senza chiamare Bolzano) che riapre le ferite di settant’anni fa
di Gian Antonio Stella
Quel confine simbolo dei traumi sudtirolesi. E l’Alto Adige chiese aiuto a Roma
E
ccolo, il «confine di seta»: filo spinato. Così sarà il Brennero, dopo
la costruzione iniziata ieri della barriera voluta per fermare
l’eventuale arrivo di profughi. Non sarà solo un «muro» tra Nord e Sud,
tra due pezzi dell’Europa, tra l’Italia e l’Austria. Sarà di più: la
spaccatura del piccolo mondo tirolese. Un incubo antico reso reale non
da Roma, ma da Vienna. Un trauma inatteso. Vissuto da molti come un
tradimento.
«Sì, qualche volta ho ancora la sensazione di essere
“prigioniero” dell’Italia», raccontava Silvius Magnago, il patriarca dei
sudtirolesi, «capita quando passo la frontiera del Brennero. Avverto un
certo disagio, come una fitta al cuore. Certo, se i confini fossero di
seta così come forse saranno in futuro dentro l’Europa non mi
capiterebbe, ma purtroppo così non è. E poi c’è sempre Roma, con le sue
maledette tentazioni centralistiche».
Quelle «maledette tentazioni
centralistiche» che per decenni furono rimproverate a noi, vengono
rinfacciate ora a Vienna. Basti rileggere, al di là delle scontate
prudenze diplomatiche, le parole dette due mesi fa dal presidente della
Provincia autonoma Arno Kompatscher dopo la scoperta, sbalordita, della
decisione austriaca di rafforzare il confine che da un secolo
rappresenta una ferita. Decisione presa senza manco avvertire i
«fratelli» altoatesini. Solo chi non conosce i traumi di queste terre
non ha colto fino in fondo le parole di quello che per gli altoatesini
tedeschi è un vero e proprio governatore: «Le decisioni austriache in
tema di profughi, con particolare attenzione al confine del Brennero,
hanno bisogno di adeguate risposte da parte dell’Italia». E chi avrebbe
potuto mai immaginare che il leader della minoranza tedesca chiedesse
aiuto a Roma? Eppure Kompatscher metteva l’accento sul punto centrale:
«L’accordo di Schengen ha depotenziato il confine del Brennero
rendendolo di fatto invisibile e ha dato un grande contributo alla
convivenza all’interno di un territorio dalla storia complessa. La
gestione dell’emergenza profughi rischia di minare i rapporti».
«Eva
Klotz, gli Schutzen o i fanatici Freiheitlichen pensano di avere la
soluzione in tasca e rovesciano tutta la colpa, come sempre, sull’Italia
— spiega lo storico Leopold Steurer —. Dicono: se avessimo fatto un
referendum sull’autodeterminazione oggi non avremmo problemi perché
staremmo dalla parte giusta del filo spinato. Non so se mi spiego:
“dalla parte giusta del filo spinato”. È una posizione infame. Razzista.
Degna di gentaglia come sono loro».
Certo è che per i
sudtirolesi, che avevano accolto come una liberazione la caduta di ogni
barriera con la loro «heimat», il dispiegamento della nuova muraglia,
che dovrebbe somigliare a quella stesa dall’Austria lungo i confini con
la Slovenia, è un salto indietro di decenni. Che rischia di riaprire
ferite antiche. E di ricordare non solo il distacco fisico dall’Austria
ma lo shock subito da quelle decine di migliaia di tedeschi altoatesini
che nel 1939, obbligati dal patto scellerato stretto da Mussolini e
Hitler a optare per il trasferimento in Austria e in Germania si
ritrovarono accolti non con l’amore dovuto ai fratelli ma con la
diffidenza riservata agli intrusi. «Ce ne andammo con tutta la
famiglia», ricordava mezzo secolo dopo Egon Tauber, «ci mandarono sul
lago di Costanza e ci diedero un appartamentino in una casa popolare.
C’erano parecchi sudtirolesi. La gente del paese era invidiosa, perché
davano le case a noi. Ci chiamavano terroni e ci trattavano come fossimo
turchi». Uno shock mai del tutto superato.
C’erano cascati in
211.799 su un totale di 246.036, pari all’86 per cento della popolazione
tedesca, nella promessa del Führer di garantire agli «optanti» che
avrebbero trovato nelle terre tedesche esattamente ciò che lasciavano in
Val Pusteria, in Val Venosta o in Val Passiria. Al punto che Friedl
Volgger, futuro leader della Svp e tenace oppositore dell’esodo, indicò
allora col dito a un vecchio amico il Felsberg, la montagna simbolo
della Val d’Isarco: «Ammetterai almeno che in questa nuova patria ti
mancherà il Felsberg». E quello rispose: «No, ci sarà anche quella. Solo
200 metri più bassa». Assicurando di aver avuto ogni garanzia: nel
Terzo Reich i sudtirolesi avrebbero trovato paesi identici a quelli
lasciati. Copie perfette: stesse strade, stesse piazze, stessi lampioni…
«La
propaganda nazista fu così martellante che la gente abboccava alle
promesse più assurde», ricordò anni fa lo stesso Steurer, «so che pare
impossibile, ma la gente ci credeva. Altroché, se ci credeva: pensi che
mio padre, in fondo alla lista con le vacche e le credenze e i comodini,
chiese addirittura di ritrovare nella nuova casa sette rastrelli,
quattro oche e tre gatti». Altri ancora, sorrise lo storico, arrivavano a
precisare nella loro lista di che colore dovessero essere le vacche
uguali identiche a quelle lasciate.
Il confine al Brennero era
allora per i sudtirolesi, amputati dalla madrepatria, un sopruso così
doloroso da togliere il fiato. Non riuscivano a darsi pace per le scelte
durissime imposte dall’Italia a quelle valli citate nel celebre
proclama di Armando Diaz del 4 novembre 1918: «I resti di quello che fu
uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza
speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza».
Le
scuole solo in italiano, i nomi cambiati qua e là perfino sulle lapidi
dei cimiteri, il divieto di parlare in tedesco, lo stravolgimento della
toponomastica nella scia delle tesi di Ettore Tolomei, fervente apostolo
della necessità di «italianizzare» l’Alto Adige. Risultato: Chiusa al
posto di Klausen, Selva di Val Gardena invece di Wolkenstein in Gröden e
così via fino a Gallina alla Malga in luogo di Hühnerspiel.
Decenni
di trattative, di negoziati sul cosiddetto «pacchetto», di buon senso
da parte sia degli italiani sia dei sudtirolesi erano riusciti a
rimarginare almeno in parte quelle ferite. L’Europa aveva fatto il
resto. Finché anche la barriera del Brennero era diventata quasi una
barriera impalpabile. I muri, i reticolati, i fili spinati riportano la
storia indietro. Ma ciò che più pesa, come spiegano a Bolzano, è che
«l’Austria non ha neppure sentito l’obbligo morale di sentirci».