Repubblica 12.4.16
Perché difendo le donne e la 194
di Umberto Veronesi
Aborto,
la bocciatura del Consiglio d’Europa: troppi medici obiettoriIL
CONSIGLIO d’Europa ancora una volta ci boccia, accusandoci di non
rispettare i diritti delle donne che scelgono di interrompere una
gravidanza. La critica mette il dito sulla piaga dell’obiezione di
coscienza dei medici. Va premesso che essere a favore della
legalizzazione dell’aborto non vuol dire essere a favore dell’aborto e
va ricordato che la legge 194, votata dagli italiani attraverso un
referendum, nasce per mettere fine agli aborti clandestini e per
promuovere la maternità consapevole.
È una legge civilmente
avanzata, che si basa su un prologo di civiltà: «Lo Stato garantisce il
diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore
sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Nella
progettualità della 194, le donne dovevano essere allontanate
dall’ipotesi di interrompere una gravidanza, tramite programmi di
educazione e informazione che, per mezzo dei consultori, tendessero ad
eliminare le cause che trascinano la donna nel baratro dell’aborto.
Purtroppo questa azione preventiva non è mai stata realizzata e lo
spirito della legge in questi anni è stato in parte tradito.
TUTTAVIA
alcuni risultati positivi ci sono stati: è drasticamente diminuita la
mortalità causata dall’aborto ed è anche diminuito il numero di aborti
stessi.
Tutti coloro che, come me, hanno votato la 194 e l’hanno
difesa da ripetuti attacchi culturali e politici, lo hanno fatto nella
convinzione che l’aborto è un male, ma l’aborto clandestino è un male
ancora peggiore, che aggiunge al dramma di un’interruzione di
gravidanza, anche un rischio enorme per la vita della donna. Le donne
italiane hanno dunque conquistato nel 1978 il diritto di abortire
legalmente in ambiente ospedaliero, tutelate dallo Stato, e io credo che
sia molto grave negare loro la possibilità di esercitare questo
diritto, appellandosi alla coscienza individuale di medici e infermieri.
L’obiezione di coscienza è accettabile in linea di principio, ma è una
questione di pesi e misure: deve essere un’eccezione e non la regola.
Quando
parliamo, come segnalato dal ministero della Salute, del 70 per cento
di medici obiettori, con picchi del novanta per cento in alcune regioni,
allora siamo di fronte ad una situazione di dissesto e non osservanza
della legge. Certamente il medico è prima di tutto una persona, con le
sue idee e le sue convinzioni, ma ha scelto una professione con una
deontologia speciale perché ha a che fare direttamente con la vita di
altre persone con altrettante idee e convinzioni.
La bussola che
guida le scelte di un medico non può essere la sua fede o il suo credo,
ma deve essere la volontà del paziente e, in questo caso, anche
l’osservanza della legge. Se non è così, si scatena il caos. In una
società multiconfessionale, come è e sempre più sarà la nostra, farsi
curare diventerrebbe per assurdo un terno al lotto, perché essere
trattati o no, dipenderebbe dall’orientamento religioso del medico che
ci capita di incontrare in un ambulatorio, in uno studio professionale,
nella corsia di un ospedale.
Io sono convinto che in un mondo
civile e moderno la fede o l’assenza di fede debba essere lasciata fuori
dalla sala operatoria. Possono anche capitare situazioni capovolte, in
cui il paziente si rifiuta di ricevere trattamenti che vanno contro la
sua religione. Mi riferisco, per esempio, ai testimoni di Geova, che
preferiscono morire piuttosto di ricevere una trasfusione di sangue.
Pratica che, per il loro credo, è il peggiore dei peccati, così grave da
negare la vita eterna. Che fare se magari il paziente in questione è un
giovane che potrebbe invece avere una lunga vita davanti a sé? Nessun
medico può imporre con la forza una cura, anche se è salvavita, e dunque
noi ci maceriamo nella nostra impotenza, e speriamo con tutti noi
stessi che quella trasfusione non debba avvenire mai. Ma se la volontà
di un malato viene rispettata quando rifiuta una cura, non dovrebbe
esserlo anche quando la cura viene legalmente richiesta? Io credo di sì.
Se accettassimo il contrario, che sia sempre la volontà del medico a
prevalere, giungeremmo a pericolosi paradossi. Ad esempio, se un medico è
cattolico convinto, allora non dovrebbe neppure prescrivere gli
anticoncezionali e dovrebbe rifiutare come pazienti le donne che ne
fanno uso, perché infrangono le regole procreative stabilite dalla
Chiesa. Eppure non mi pare di aver mai sentito di un medico che ha fatto
obiezione di coscienza all’uso della pillola. Al di là delle questioni
“tecniche” resta nella mia testa una ferma convinzione: guai a toccare i
diritti conquistati, soprattutto se sono sacrosanti. Ecco perchè
difenderò sempre la legge 194 e il coraggio delle donne che si sono
battute e ancora adesso si battono per essa.