il manifesto 12.4.16
I medici non obiettori: «Impossibile lavorare»
Aborto. La denuncia dell’associazione Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194
di Eleonora Martini
Se
la ministra Beatrice Lorenzin avesse voluto conoscere la situazione
reale in cui si ritrovano oggi le donne italiane che vogliono abortire,
avrebbe potuto ascoltare quanto da anni denuncia Laiga, la Libera
Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194, che
ha affiancato la Cgil nel ricorso a Strasburgo. «Nella maggior parte
degli ospedali i primari sono obiettori, e solo alcuni fanno rispettare
comunque la legge – denuncia la presidente di Laiga, Silvana Agatone –
Anche l’ambiente culturale non facilita il tutto, talvolta si fa un uso
spropositato dell’obiezione». E se ormai trovare un medico non obiettore
nelle strutture pubbliche italiane è diventato molto difficile (dal
2006 al 2013 i ginecologi obiettori sono aumentati dal 69,2% al 70%),
anche quando si riesce ad accedere ai servizi garantiti dalla legge 194,
in realtà la salute della donna che ricorre ad una Ivg è messa
gravemente a rischio.
Racconta la dottoressa Agatone che
«recentemente dei colleghi stavano facendo interventi e il personale si è
rifiutato di lavare i ferri chirurgici, il collega ha dovuto
sterilizzarli e continuare da solo. In altri ospedali alcuni portantini
si rifiutano di portare le pazienti, o manca l’anestesista. Dovrebbe
essere un problema della struttura, ma se ne fa carico il non obiettore,
che deve sistemare tutto. Molti colleghi che fanno aborti dopo i
novanta giorni, quindi per motivi medici, vengono puntualmente
denunciati. Per non parlare del fatto che i non obiettori non fanno
carriera, e che ci sono stati casi in cui è stato tolto loro addirittura
l’insegnamento».
Secondo l’ultima Relazione sull’applicazione
della 194 trasmessa dalla ministra Lorenzin al Parlamento nel novembre
scorso, però, non c’è nessun problema: «Il numero di non obiettori
(1.490 nel 2013) risulta congruo, anche a livello sub-regionale,
rispetto alle Ivg effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel
soddisfare la domanda di Ivg – si legge nella Relazione – Le
interruzioni volontarie di gravidanza vengono effettuate nel 60% delle
strutture disponibili, con una copertura soddisfacente, tranne che in
due Regioni molto piccole. Per quanto riguarda l’esercizio
dell’obiezione di coscienza e accesso ai servizi di Ivg si conferma
quanto già osservato su base regionale e, per la prima volta, per quanto
riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore,
anche su base sub-regionale, non emergono criticità nei servizi di Ivg.
Il numero dei punti Ivg, paragonato a quello dei punti nascita, mostra
che mentre il numero di interventi è pari a circa il 20% del numero di
nascite, il numero di centri è pari al 74% dei punti nascita. Superiore,
cioè, a quello che sarebbe rispettando le proporzioni fra Ivg e
nascite. Confrontando poi punti nascita e punti Ivg non in valore
assoluto, ma rispetto alla popolazione femminile in età fertile, a
livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa un’Ivg, ce ne sono 7 in
cui si partorisce».
Dati smentiti da Agatone: «Solo nel Lazio
secondo un nostro studio gli obiettori sono il 91,3%, ma ci sono regioni
che stanno peggio come le Marche, la Sicilia e la Calabria, anche se
pure il Veneto non è che sia messo molto meglio. Il Ministero dovrebbe
fare un’indagine seria sul territorio, e aprire a concorsi riservati ai
non obiettori».