Repubblica 11.4.16
Tra i neri di Harlem convertiti da Sanders “È lui che può aiutarci”
Tra
otto giorni si vota nello Stato di cui Hillary è stata senatrice Ma il
tradizionale appoggio per i Clinton da parte della comunità “black”
vacilla
di Federico Rampini
Conta di più l’età che il colore della pelle. E Bernie convince i giovani. Ma il rischio Trump può cambiare le cose
NEW
YORK. «La parola socialismo? A me piace. Non parlatemi di Cuba o
dell’Unione sovietica, per favore: ho 27 anni». Roderick Lawrence,
afroamericano, di mestiere fa l’attore. Lo incontro mentre fa la fila
sotto una pioggerellina gelida, sulla 125esima strada. Siamo nel
quartiere di Harlem, sul marciapiede dell’Apollo Theater. Un luogo
storico per la comunità afro-americana, un tempio del jazz e del blues.
Con la rinascita culturale di Harlem ci si viene sempre più spesso, di
recente ero all’Apollo per un musical su Charlie Parker, ci torno
giovedì per sentire Esperanza Spalding. Anche stasera c’è una gloria
musicale in scena: Harry Belafonte. Ma non per cantare. A 89 anni il
maestro della musica calypso è qui per introdurre l’altra star della
serata, Bernie Sanders.
È per ascoltare un 74enne bianco ed ebreo,
che tanti ragazzi neri affollano l’ingresso dell’Apollo, e
disciplinatamente si sottopongono ai controlli del Secret Service col
metal detector. La sfida di Sanders, almeno in teoria, è molto ardua.
Mancano 8 giorni alle primarie democratiche di New York, sulla carta
Hillary Clinton è favoritissima. La Clinton è stata senatrice di New
York quindi ha qui una solida base elettorale. Sanders, pur essendo nato
a Brooklyn, ha fatto la sua carriera politica molto più a Nord, nel
Vermont. Lui dovrebbe essere un estraneo nella cittadella afroamericana
di Harlem: come si è visto nelle primarie del Sud, i neri tendono a
votare per Hillary.
«Sarà vero altrove – mi dice Monet Merchand, 26
anni – o forse per la generazione dei miei genitori. Io sono
afroamericana e Millennial, forse conta più l’età che il colore della
pelle. E poi ho scoperto una cosa bellissima su Sanders». Sotto la
pioggia comincia a digitare lo schermo del suo iPhone, finché trova una
vecchia foto di giornali: «Eccolo qua, Bernie da ragazzo, in una
manifestazione per i diritti civili guidata da Martin Luther King.
Questo è il punto: la coerenza. Io non faccio politica attiva, ho votato
per Obama l’altra volta e poi basta. Sono contenta di votare di nuovo
per qualcuno che può cambiare le cose. Hillary mi sembra una che posa,
una finta». Con un’altra ragazza in fila per entrare all’Apollo, ritorna
quella parola démodé qui in America, socialismo. «Per me – dice Darilyn
Castillo, 24 anni, che si autodefinisce metà nera e metà ispanica –
oggi socialismo vuol dire accesso all’istruzione e alle cure mediche per
tutti. Siamo in una società dove tornano a contare i privilegi alla
nascita. Le opportunità per studiare si stanno restringendo di anno in
anno, se sei un figlio di poveri o anche della middle class».
Il mio è
un campione molto piccolo, non posso confutare i sondaggi, che indicano
un radicamento ben più forte di Hillary nella comunità nera. Però una
spiegazione alternativa me la offre un ragazzo bianco venuto anche lui
qui ad Harlem per il raduno elettorale. Michael Daley, 26 enne scrittore
free-lance: «L’idea che Hillary fosse molto più forte tra i neri è
datata. Risale all’ini- zio di questa campagna, quando Sanders era
sconosciuto da queste parti. Via via che hanno imparato a conoscerlo, si
sono accorti di quanto hanno in comune con lui».
C’è un tema sul
quale il cuore di Harlem è decisamente contro la Clinton. Anzi, contro i
coniugi Clinton. Me lo spiega, già seduta dentro l’Apollo, Joyce
McMillan, una nera di 30 anni, che si definisce «attivista di quartiere
per i diritti umani». «Odio le politiche che applicò Bill Clinton da
presidente – dice la McMillan – perché hanno inflitto danni enormi alla
mia comunità. È sotto un Clinton che cominciò l’incarcerazione di massa;
e poi i tagli drastici al Welfare. La coppia Hillary-Bill per me
rappresenta tutto il contrario dei nostri interessi. I due hanno preso
casa qui ad Harlem, ed ecco che è partita le gentrification,
l’espulsione di ceti popolari dal quartiere, di fatto sempre meno
afroamericano».
La serata si scalda di canti (“ Power to the
People”), l’Apollo rimbomba di applausi quando Sanders prende la parola
ed esalta «la vittoria di voi tutti con l’aumento del salario minimo a
15 dollari l’ora, la prova che l’America cambia con i movimenti dal
basso, la vostra mobilitazione». Il test di Harlem è incoraggiante per
Sanders. Ma il 19 non vota solo New York City, roccaforte liberal. Il
resto di questo grande Stato, che arriva fino ai confini col Canada, è
più moderato o conservatore. La macchina del partito, dal governatore
Andrew Cuomo al sindaco Bill de Blasio, sta con Hillary. E poi c’è lo
spettro di Donald Trump, favorito qui nelle primarie repubblicane. «A un
certo punto – ammette il giovane Lawrence – dovremo tutti interrogarci
sul voto utile, su chi sia il candidato migliore per sbarrare la strada a
Trump».