Corriere 11.4.16
Che cosa può accadere se gli inglesi lasciano l’Ue
risponde Sergio Romano
Eravamo
tutti felici che fosse stato raggiunto, lo scorso febbraio, un accordo a
Bruxelles, affinché il Regno Unito fosse invogliato a votare a favore
della permanenza nella UE al prossimo referendum di giugno. Il primo
ministro Cameron si rivolse agli elettori, dicendo: “La scelta è nelle
vostre mani, ma la mia raccomandazione è chiara. Credo che il Regno
Unito sarà più sicuro e più forte restando nella Ue riformata”. Da
quanto si legge e si sente, sembra che i sentimenti anti UE stiano
aumentando. Come vede lei la situazione?
Elena Bonsanti
Cara Signora,
Quando
David Cameron disse che la Gran Bretagna sarebbe rimasta nell’Unione
Europea soltanto se questa avesse accettato di riformarsi, la
Commissione di Bruxelles dovette affrontare un imbarazzante dilemma. Il
negoziato con il governo britannico non avrebbe garantito la permanenza
del Regno Unito nella Ue perché la decisione, in ultima analisi, sarebbe
stata degli elettori. Ma le concessioni fatte a Londra avrebbero
comunque aperto la porta ad altre richieste e ad altri negoziati.
Potevamo permetterci di costruire una Europa alla carta in cui ogni
membro dell’Unione avrebbe avuto il diritto di pretendere condizioni
particolari? Quale sarebbe stata la natura di un organismo in cui la
distribuzione dei diritti e dei doveri, in ultima analisi, sarebbe stata
fatta sulla base del peso specifico dei singoli membri?
La decisione
di accettare il piano Cameron fu dovuta a parecchie considerazioni. In
primo luogo nessuno era in grado prevedere quali sarebbero state le
ricadute della eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Come avrebbero reagito i mercati? Come avrebbero reagito i Paesi per
cui il Regno Unito è una garanzia di correttezza democratica e libertà
economica? In secondo luogo esisteva una lobby inglese all’interno
dell’Ue che premeva per l’inizio del negoziato. In terzo luogo, nessuno,
nelle maggiori capitali dell’Ue, voleva essere considerato responsabile
dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.
Il risultato è quello
ormai noto. L’Ue non sarà più una «ever closer union», vale a dire una
unione in cui i membri desiderano avere legami sempre più stretti. I
Parlamenti nazionali avranno una maggiore autorità, a scapito
dell’Assemblea di Strasburgo, in materia di legislazione europea. L’Ue
avrà un occhio di riguardo per le peculiarità della City di Londra. Il
governo britannico potrà ritardare di quattro anni il pagamento di
sussidi sociali per i lavoratori provenienti da altri Paesi dell’Ue.
Che
cosa accadrà, cara Signora, se gli elettori britannici voteranno no
all’Europa nel referendum di giugno? Posso immaginare tre conseguenze.
Non potremo essere considerati responsabili dell’uscita della Gran
Bretagna. Avremo evitato il rischio di dovere affrontare richieste
analoghe provenienti da altri membri dell’Ue. Non passeranno molti
giorni, dopo il no, prima che la Gran Bretagna ci chieda di negoziare un
nuovo trattato per consentirle di continuare a beneficiare del mercato
unico.