Repubblica 1.4.16
Generali, trafficanti e mufti ecco chi fa affari con la guerra
Dal leader della capitale Ghwell al generale Haftar, decine di “signori” non vogliono rinunciare al potere
di Vincenzo Nigro
IN
LIBIA i “signori della guerra” non sono soltanto una banda di capi
militari che si erano inventati soldati e che adesso non vogliono cedere
il potere e i soldi conquistati. Ci sono decine e decine di capi e
capetti politici che di fatto prolungano questa lunga agonia di guerra
civile. Il discorso è uguale per tutti, a Est come ad Ovest, in
Cirenaica come in Tripolitania: chi per caso, per fortuna o per abilità è
salito sul treno della rivoluzione non vuole scendere ed è pronto a
tutto per rimanere aggrappato alle leve del potere.
Il primo a
essersi messo di traverso sulla strada del premier sostenuto dall’Onu
Fayez el Serraj è il primo ministro del governo di “salvezza nazionale”
di Tripoli: Khalifa Ghwell che ha sostituito il suo predecessore Omar
al-Hassi, un professore di Bengasi sfiduciato nel 2015 dal Congresso
nazionale. Ghwell è un misuratino, scelto in base al “manuale Cencelli”
libico come garanzia della forte città militare e per offrire un
bilanciamento con i ministri di Tripoli. Ma da qualche mese, mentre le
milizie di Misurata capivano che il futuro non può che essere con un
governo sostenuto dalle Nazioni Unite (e dai paesi che contano, compresa
l’Italia), Ghwell si è avvitato alla poltrona. Ha trovato l’appoggio di
molti altri uomini politici e molti capi militari. Con lui il
presidente del Parlamento, quel Nuri Abusahmin che come Ghwell è stato
sanzionato dall’Unione europea. Abusahmin è un ex commerciante e
imprenditore di successo: importava in Libia anche cibo italiano, fra
cui il latte sardo “Arborea”, un prodotto che i libici offrivano ai loro
ospiti come prelibatezza da gourmet. Oggi per Abusahmin tornare alla
vita civile (con in più il marchio delle sanzioni) sarebbe pesante.
Al
loro fianco, contro il premier Serraj, c’è un pezzo da novanta dei capi
militari, il misuratino ribelle Salah Badi, che è anche deputato.
Quando parli di Salah ai compagni della sua città quelli abbassano
sguardo: temono la milizia che gli è rimasta fedele come una delle più
pericolose perché il capo è finito fuori controllo.
Altro
“sabotatore” in questa Libia dei mille interessi individuali è il gran
mufti di Tripoli Alì Ghariani. Fra i capi politici di Tripoli, Ghariani è
al momento l’unico che ha mantenuto una sua televisione che continua a
utilizzare per lanciare i suoi appelli. Ieri è tornato a tuonare contro
Serraj.
Un leader militare sotto attenta osservazione in queste
ore è Abdelrauff Kara, capo di Rada, una milizia salafita potentissima e
super-organizzata, che in questi mesi ha agito da polizia e
intelligence a Tripoli. Kara ha la sua base al fianco dell’aeroporto di
Mitiga di Tripoli, dove vi sono anche le celle in cui sono sotto arresto
i miliziani dello Stato islamico che i suoi uomini catturano.
Passando
dall’altra parte, fra Tobruk, Bengasi e Agedabia i capi politici e
militari sono innumerevoli. Il più famoso è l’ex generale gheddafiano
Khalifa Haftar, un compagno d’armi di Gheddafi che è fuggito negli Usa
dopo essere stato catturato nella guerra della Libia contro il Ciad.
Haftar adesso si è messo al servizio degli interessi egiziani ed è
riuscito con la sua milizia (che lui astutamente chiama “esercito
nazionale libico”) a mettere sotto schiaffo i leader politici di
Bengasi. È uno dei principali ostacoli alla pace in Libia, perché il 90
per cento dei libici lo ritiene solo un emulo di Gheddafi e soprattutto
non accetterà che dietro di lui in Libia avanzi la mano nera del regime
egiziano. Il capo del parlamento di Tobruk, che Haftar ricatta e
intimidisce, è Aguila Saleh Issa, capo politico esperto ed equilibrato
finito anch’egli nel mirino delle sanzioni europee perché non fa votare
il Parlamento di Tobruk sul governo Serraj. Aguila Issa sembrava più
dialogante e aperto del suo omologo di Tripoli Abusahmin, ma di fatto
anche lui ha lavorato per ostacolare il governo delle Nazioni Unite. Uno
dei tanti che vuole che in Libia nulla cambi.