La Stampa 1.4.16
L’impegno dell’Italia in Libia
“Pronti 2500 addestratori”
La promessa sancita alla conferenza di Roma
In campo mille inglesi Fazioni di Misurata con Sarraj. Sanzioni Ue per i contrari al governo
di Guido Ruotolo
Sono
arrivati di sorpresa dal mare, di nascosto come fossero dei
clandestini. Sono sbarcati dalla motovedetta «Sdadah» e si sono chiusi
nella base della marina Militare «Abu Sittah» a Tripoli. È iniziata
così, senza bagni di folla, l’alba della nuova Libia, con la
rappresentanza del Consiglio Presidenziale - in testa il presidente
Fayez al Sarraj - che ha affidato la sua protezione alle milizie
lealiste di Misurata e Tripoli, e non all’esercito e alla polizia,
violando l’accordo politico siglato a dicembre in Marocco che imponeva
alle milizie il rientro nelle proprie città e comunque il ritiro ad
almeno cento chilometri da Tripoli.
Ora il Consiglio Presidenziale
si appresta a chiedere alla comunità internazionale l’invio di
addestratori. Si tratta di 2500 «addestratori» italiani e mille inglesi
che dovrebbero arrivare quanto prima per riorganizzare il sistema di
sicurezza, le forze di polizia e l’esercito, e garantire la protezione
delle rappresentanze istituzionali libiche. Il 15 marzo a Roma, nel
vertice Onu sulla Libia con 30 Paesi, infatti, quando si è trattato di
indicare il numero di addestratori che ogni Paese avrebbe messo
volontariamente a disposizione, solo l’Italia e la Gran Bretagna hanno
risposto positivamente.
A Tripoli sono ore decisive, i libici - e
non solo - temono la divisione interna e una possibile offensiva
dell’Isis che controlla Sirte e una significativa area della fascia
costiera. Tripoli ogni giorno deve fare i conti con soldi che non ci
sono e con una crisi spaventosa di liquidità delle banche: sono spariti
22 miliardi di dinari libici e gli stipendi non vengono pagati da mesi.
La
Libia vive una drammatica crisi umanitaria e ieri la Farnesina ha
stanziato un milione di euro di aiuti per Tripoli e dintorni: 860
tonnellate di alimenti per 14.000 famiglie.
La nuova Libia vuole
essere ottimista. Si chiede cosa farà l’Isis, se il Muftì di Tripoli,
Sheikh Sadik al Ghariani, davvero proclamerà la guerra santa contro
Sarraj e i suoi. E cosa faranno i «fratelli» della Cirenaica che
minacciano la secessione.
Il bilancio dei primi due giorni della
delegazione del Consiglio Presidenziale a Tripoli è di un morto, una
casa di un miliziano distrutta, la televisione «El Nabaa» attaccata da
un’altra milizia. Situazione tesa, ma tutto sommato il temuto caos non è
avvenuto. La situazione, però, potrebbe cambiare nell’arco di poche
ore. Intanto lunedì dovrebbero scattare le sanzioni della Ue e degli Usa
nei confronti dei recalcitranti Nuri Abu Sahmain, presidente del Gnc,
il Congresso generale nazionale insediato a Tripoli, del primo ministro
islamista Khalifa al Ghwell, del Presidente del Parlamento di Tobruk,
Aghila Saleh. E bisognerà capire come reagiranno le forze che a loro si
richiamano.
Ma naturalmente si aspettano le prime iniziative del
presidente Sarraj. E cioè si cerca di capire come intenderà affrontare
il nervo scoperto della legittimazione del suo governo, che ancora non
ha avuto la maggioranza del Parlamento di Tobruk. Perché a Tripoli è
arrivata una delegazione del Consiglio Presidenziale che secondo
l’accordo siglato (da tutti) in Marocco a dicembre, doveva già essersi
trasferito a Tripoli.
Sul governo di pacificazione la partita è
ancora aperta. Le stesse Nazioni Unite, infatti, spinte dalle pressioni
di americani, inglesi e francesi, si sono schierate con Sarraj mentre le
trattative tra le parti non erano concluse. Sulla formazione del
governo, per esempio, sulla sua composizione e sul riequilibrio delle
presenze territoriali la discussione è ancora aperta.
In queste
ore contano anche i silenzi di Bengasi e della Cirenaica. E, soprattutto
dell’Isis che continua a spadroneggiare a Sirte, città natale di
Gheddafi.