sabato 9 aprile 2016

La Stampa TuttoLibri 9.6.16
Charlotte Brontë
Tempeste di passioni dietro la quiete
La maggiore delle sorelle è sempre stata considerata docile fu invece forte, temeraria, e usò la letteratura come un’arma
di Lyndall Gordon

«Donne schive, riservate», così Charlotte Brontë descrisse le sorelle (e implicitamente se stessa) in una nota biografica stilata per la prefazione alle loro opere pubblicate postume: «un’esistenza trascorsa in disparte ha conferito loro modi e consuetudini improntati alla timidezza».
Ma accanto a questa appropriata immagine ottocentesca di signore beneducate c’è la vita segreta delle scrittrici, in cui (ci assicura Charlotte) riposa «un potere e un fuoco nascosto».
Agli occhi dei contemporanei superficiali le sorelle non erano niente. «Un’istitutrice privata non ha un’esistenza», scrisse Charlotte a Emily nel 1839, quando lavorava per la signora Sidgwick, la quale aveva sistemato la governante al piano della servitù della sua dimora di Skipton, in Yorkshire. Quando gentiluomini e gentildonne posavano lo sguardo su un’istitutrice «pareva che fissassero il vuoto», disse Anne, che era stata licenziata nello stesso anno dal suo posto presso la famiglia Ingham.
Ma questo vuoto apparente fu lo spazio che le sorelle ricavarono per se stesse; lì, protetta dall’oscurità, la personalità di Charlotte Brontë prese forma. Le sue coperture si prendono gioco di noi: lo pseudonimo, privo di genere, Currer Bell e la figura dell’autrice minuta e dimessa che alla fine comparve a Londra a braccetto con il suo editore. La sua amica e prima biografa, la scrittrice Elizabeth Gaskell, ci ha restituito un ritratto impregnato di pathos: una donna modesta, schiava del proprio dovere, che soffre all’ombra delle lapidi per la prematura morte dei cinque fratelli. Questo non significa che Elizabeth Gaskell non ci abbia trasmesso una grande verità su Charlotte Brontë. Ma è soltanto una mezza verità. La sua Charlotte, vista attraverso gli occhi compassionevoli di una contemporanea, sarà sempre con noi. Gaskell fu fedele alla donna che era apparsa in pubblico, ma dov’è la donna forte e temeraria che, dopo la pubblicazione di Jane Eyre (1847), disse: «ce ne vuole per abbattermi»?
Nel mio libro intendo portare alla luce l’altra metà della verità, quello che Charlotte chiamava «il mio carattere domestico», che condivise con le sorelle: la sua voce acida, sarcastica; il suo fuoco creativo; il suo spirito e il suo umorismo; la sua determinata professionalità – che la portò a mettere la letteratura al centro della propria vita. Le sorelle morirono mentre stava scrivendo il suo romanzo femminista, Shirley (1849). Per quanto sofferente, il 21 settembre 1849 riuscì a scrivere al suo editor, William Smith Williams: «La facoltà dell’immaginazione mi ha tirato su quando stavo affondando, tre mesi fa; da allora il suo costante esercizio mi ha tenuta con la testa sopra il livello dell’acqua: il suo risultato ora mi rallegra...».
Elizabeth Gaskell separò la donna dalla scrittrice. Per ricongiungerle dobbiamo esplorare gli angoli invisibili della sua storia. Samuel Johnson, eminente biografo del diciottesimo secolo, ha detto: «Ci sono molte circostanze invisibili le quali sono molto più importanti dei pubblici affari». Per individuare il volto nascosto di Charlotte Brontë non dobbiamo solo andare in cerca del suo carattere domestico, ma anche esporre i buchi e le discontinuità della sua esistenza. Disponiamo di eccellenti e complete biografie che ci hanno fornito tutti i dati esteriori. Il mio interesse è rivolto però alla storia complementare della vita interiore e creativa. Questo genere di biografia pone la questione di quando ebbe inizio la sua spinta creativa – vale a dire: da dove trasse la straordinaria voce di Jane Eyre?
Una traccia si ritrova in una lettera che scrisse nel marzo del 1837 al poeta Robert Southey. Gli aveva inviato le sue poesie nella speranza di essere «conosciuta per sempre». Lui aveva risposto ammonendola che «la letteratura non può essere l’occupazione della vita di una donna, non deve esserlo». La brillante manovra della sua apparente sottomissione a Southey, cui assicurò che avrebbe smesso di scrivere, fu la prima performance pubblica di un ruolo che avrebbe fatto proprio, nascondendo un’audace vita creativa dietro la maschera della perfetta docilità. Maneggia le parole come lame con cui intaglia la caricatura dell’obbedienza femminile, rispondendo all’ingiunzione del poeta laureato che riservava la creatività ai soli uomini. Questa voce controllata ne nasconde una in contraddizione con l’immagine ottocentesca di una signora delicata e priva di passioni.
Non fu affatto priva di passioni. Gaskell oscurò quella che provò per il suo professore belga, Constantin Héger. L’esatta natura della loro relazione resta controversa. Non corrisponde alle solite categorie di infatuazione o storia. Cruciale, persino inebriante fu per Charlotte che egli fosse il suo mentore, un uomo che desiderava davvero che scrivesse, e che sembrava intenzionato a conoscerla per quella che lei stessa sentiva di essere.
Attraverso un’esile costruzione letteraria, mette a nudo la propria anima con Héger: «Milord, je crois j’avoir du Génie». Si intravede qui una relazione che ruota attorno alla libertà di parola assicurata dal maestro (in contrasto con l’intimazione al silenzio di Southey).
Se Charlotte Brontë poté presentare nei suoi romanzi la figura ingrandita del suo insegnante fu grazie alla distanza e alla natura ideale della loro relazione. La sua fu una corrispondenza di fantasia, simile a un atto dell’immaginazione. Dover immaginare la passione, piuttosto che viverla, fu in realtà un vantaggio per lei, in quanto scrittrice, perché le consentì di concepirla dal punto di vista di una donna.
La Charlotte Brontë che amava «camminare invisibile» scioccò i vittoriani dando vita a donne romanzesche giudiziose e impetuose.
La voce che intonò, energica al punto che alcuni la reputarono poco femminile, persino «volgare», avvinse chi aveva orecchie per intendere, come la futura romanziera George Eliot, che esclamò: «Che passione, che fuoco in lei!». I suoi personaggi sono così vicini che ancora oggi sentiamo battere i loro cuori.
Traduzione di Nicola Vincenzoni