La Stampa 9.4.16
Così Steve Jobs s’ispirò al design italiano Anni 60
di Chiara Beria Di Argentine
Steve
Jobs ci chiese di presentargli il lavoro di Marco Zanuso per Brionvega.
Negli Anni 60 Zanuso era stato il primo a usare linee curve, morbide,
che davano ai nostri prodotti una carica sensuale. Jobs li conosceva ma,
20 anni dopo, voleva entrare nello spirito Brionvega. «Non c’è dubbio:
Apple e poi Samsung ci hanno imitato!», sorride Ennio Brion.
Milano.
Tra l’apertura della XXI Triennale internazionale (Titolo «Design after
design». Commento di Brion: «Lei ha capito cosa vuol dire?»), il Miart e
il Salone del mobile («Ma il design non è solo arredamento. Sono auto,
treni e così via»), incontro Ennio Brion, 76 anni, l’imprenditore
illuminato committente d’architettura e design d’autore. Ispirato per
sua ammissione dagli Olivetti («Adriano è stato un esempio, suo figlio
Roberto un carissimo amico»), per 30 anni Brion ha guidato una fabbrica
d’iconici oggetti elettronici (radio e televisori firmati da designer
come Zanuso, Richard Sapper e i fratelli Castiglioni esposti al MoMa);
allo stesso Zanuso affidò il progetto della fabbrica di Asolo mentre con
sua mamma, Onorina, commissionò a Carlo Scarpa il complesso monumentale
in memoria del padre, Giuseppe. E ancora. Su incarico dell’amico Marco
Brunelli, re della grande distribuzione, Brion è stato il regista della
riconversione dell’area Portello-Fiera (200 mila mq, 100 mila di
costruito) degli architetti Gino Valle, Cino Zucchi e Guido Canali: una
delle mega operazioni che hanno cambiato il volto di Milano. «Portello,
Garibaldi-Repubblica di Hines e CityLife delle Generali hanno il pregio,
caso per caso, d’avere una regia unitaria», sostiene l’imprenditore.
Rewind.
«Avevo 17 anni, ero solo uno studente ma volevo aiutare i miei
genitori. Allora nelle radio dominavano i tedeschi, nei televisori gli
americani. Su una rivista vidi le macchine da cucire disegnate da Zanuso
per la Necchi. Tutto ha avuto inizio così». Altri progettisti, altro
stile. «Marco Zanuso, i Castiglioni, Franco Albini, Ignazio Gardella,
Vico Magistretti... Ho operato con tutti i più grandi architetti. Ognuno
aveva la sua peculiarità ma tutti avevano classe e generosità umana. Da
loro non ho mai sentito parlar male di nessuno. Erano un’élite anche
moralmente diversa. Lo dico perché certe polemiche mi hanno ferito.
Enormemente».
Retroscena. Vigilia di Pasqua cena dal finanziere
Francesco Micheli per Giovanna Melandri, presidente del Maxxi di Roma,
il museo d’arte contemporanea progettato dalla celebre Zaha Hadid che
aveva vinto un fior di concorso. Presentando agli amici del museo i
futuri programmi, Melandri accenna alle critiche rivolte
all’architettura di Hadid. Parlano vari ospiti. Interviene Brion: «Non
ti preoccupare, Giovanna, certe critiche sono frutto di un atteggiamento
perlomeno provinciale». Non fa nomi ma i presenti ben ricordano le
violente polemiche su CityLife (si è parlato di «architetture riciclate»
per le torri firmate oltre che da Hadid da Daniel Libeskind e Arata
Isozaki) o le dichiarazioni sul Maxxi dell’architetto Vittorio Gregotti
(«Pura calligrafia senza senso. E con errori elementari», disse a
«Sette», 15 marzo 2012,ndr).
All’improvviso giovedì 31 marzo Zaha
Hadid muore. Cordoglio planetario. Brion ora sottolinea: «Di Zaha Hadid
ho sempre pensato tutto il bene possibile. Aveva grande forza e un
carisma naturale; non a caso vinse il premio Pritzer. Il Maxxi? Certo
che mi piace. È uno spazio difficile? Può essere. Le cose sono
perfettibili non perfette. Quello stesso argomento fu usato per il
Beaubourg. Chiamarono Gae Aulenti e Gae con la sua grande sensibilità ne
parlò a Renzo Piano. Quanto al resto, la nuova Milano è frutto di un
processo inarrestabile. I grandi committenti oggi sono i fondi. Cambiato
il mercato della committenza è finita l’epoca dei concorsi tra i soliti
accademici e dell’architetto che facilitava le autorizzazioni. Così, mr
Hines ha voluto César Pelli (è suo il grattacielo Unicredit, nuovo
simbolo della città ndr) che aveva già lavorato con lui da Londra a
Kuala Lumpur. Etica, qualità, internazionalizzazione e, soprattutto,
trasparenza. A Milano certe cose non avvengono più. Non è lo stesso
nella Roma dei palazzinari, altro che sparlare del Maxxi!».