La Stampa 9.4.16
L’affare-Guidi
Renzi e il cortocircuito inchiesta-media
“Così si colpiscono i posti di lavoro”
Cdm bollente. E ai giornalisti semiserio: pensate se registrassero le vostre telefonate
di Fabio Martini
Per
una settimana intera, da quando è scoppiato l’affare-Guidi, il
presidente del Consiglio in pubblico è restato quello di sempre, a
vantaggio di telecamere: sorridente e sferzante. Ma nelle segrete stanze
un Matteo Renzi più inquieto del solito ha cercato in tutti i modi di
capire se lo scandalo stesse crescendo sulla spinta di “mani forti”. Ha
cercato di capire se esistesse un disegno per tarpare le ali a chi, come
lui, ritiene di fare di tutto per liberare l’Italia da lacci e
lacciuoli. E l’ inquietudine che per una settimana ha attraversato
Matteo Renzi è affiorata nell’incontro col Capo dello Stato di due
giorni fa al Quirinale, ma soprattutto nel consiglio dei ministri di
ieri sera. Senza preavvisi e senza che il tema fosse all’ordine del
giorno, Renzi è uscito allo scoperto, con parole pesantissime, prendendo
di mira il metodo, più che il merito, delle indagini in corso a Potenza
e soprattutto l’intreccio con i media: «Non si attacca mai la
magistratura, ma la deposizione del ministro delle Riforme» può anche
essere letto come un tentativo di frenare le riforme stesse. Certe
inchieste mettono in pericolo posti di lavoro e, riferendosi anche allo
stillicidio delle notizie che escono ogni giorno, il premier avrebbe
usato nel dopo-Consiglio, questa espressione: «Così si colpisce
l’occupazione!».
E poi, in conferenza stampa, Renzi si è rivolto
ai giornalisti con tono semiserio, non intimidatorio ma, forse,
allusivo: «Le frasi più o meno educate, eleganti sono sicuramente
qualcosa che colpisce l’opinione pubblica: vi dico che se mettessero
sotto controllo per un anno i telefoni delle vostre redazioni potrebbe
accadere che qualche collega rileggendo ciò che dice quello della
scrivania accanto non sarebbe entusiasta».
Giorni difficili quelli
appena trascorsi, eppure, dopo una settimana di “passione”, il capo del
governo è convinto che in termini di immagine, il peggio sia alle
spalle. Certo, si è oramai dissolta l’oleografia del governo nel quale
il presidente e i suoi ministri si chiamano per nome, ma per Renzi
contano due cose: l’”affaire” non è diventato un vero e proprio
scandalo. E soprattutto, almeno per ora, sembra fugato un link tra
l’affare-Guidi e il referendum sulle trivelle. In altre parole, per
qualche giorno, il timore (inconfessabile) di Renzi è stato che il
Lucania-gate potesse far impennare la partecipazione al referendum sulle
trivelle fissato il 17 aprile. Nelle settimane scorse Renzi aveva
puntato sull’astensionismo, ma subito dopo l’esplosione delll’”affaire”,
un dubbio aveva cominciato a serpeggiare: non partirà mica da Potenza
la “slavina” che porterà milioni di italiani alle urne? Soltanto martedì
Renzi potrà leggere gli ultimi sondaggi, ma le prime anticipazioni sono
eloquenti: nel grosso dell’opinione pubblica non è affiorato un nesso
tra le vicende lucane e il referendum del 17 aprile. Certo, la
partecipazione è destinata decisamente a crescere rispetto alle stime di
15 giorni fa, ma non oltre il 35-40%, Dunque, per ora, al di sotto del
quorum del 50% , che è necessario superare per rendere valida la
consultazione. Renzi, come il Craxi del 1991, ha deciso di giocarsi
tutto sulla ruota dell’astensione, ma sa che molto potrebbe cambiare
negli ultimi giorni. Ecco perché, anche ieri, ha preferito posizionarsi
sul tema referendum con un profilo basso. Nella sua Enews ha dedicato al
tema poche parole. Con una rivendicazione concettuale della legittimità
dell’astensione; «Un referendum abrogativo in cui la Costituzione
prevede un quorum, chi è d’accordo col referendum va a votare e vota sì.
Chi non è d’accordo col referendum può votare, ma solitamente evita di
andare a votare per evitare che il quorum si raggiunga. È dunque una
posizione costituzionalmente garantita».