La Stampa 8.4.16
Zerocalcare a Kobane
“Disegno la guerra dei curdi”
Esce una nuova graphic novel : per scriverla l’autore ha vissuto nella città simbolo della resistenza ai miliziani dell’Isis
di Davide Jaccod
Kobane
chiama, Zerocalcare risponde. Perché «non è che posso dispensà
giudizi», ma «non si può mica giudicare dalla poltrona». Allora
pennarelli in spalla, perché l’ultimo libro del fumettista romano è un
viaggio dentro e fuori di sé. Kobane Calling (edizioni Bao) esce la
prossima settimana e rimescola ancora le carte, con un reportage che
costeggia la guerra, la racconta, la propone al suo vasto seguito. Un
pubblico che magari non se lo aspettava, ma che ha seguito Zerocalcare
dalle esilaranti strisce del suo blog a libri sempre più intensi: la
risata arriva, ma questa volta lo sfondo è la battaglia combattuta sul
confine fra Turchia e Siria, dove in gioco c’è molto più di una
frontiera.
In 274 pagine Zerocalcare racconta a fumetti l’andata e
il ritorno da Rebibbia a Kobane passando dalla Turchia e dall’Iraq,
fino alla città diventata il simbolo della guerra all’Isis. E il suo
cuore pulsa tra quelle strade, perse e riconquistate: anche quando
anziché il popolo vittorioso in festa si trova davanti una città
distrutta, e anche se l’odore della libertà è sostituito da quello dei
corpi dei caduti che ancora giacciono sotto le macerie.
Certo è
che, se i suoi reportage per Internazionale rischiavano di farlo
bloccare all’aeroporto di Istanbul, questo libro piacerebbe ancora di
meno alle autorità turche: perché i suoi interlocutori sono i curdi che
combattono in un fronte che ha come nemici sia l’Isis sia lo Stato
turco, in un luogo dalla geografia martoriata e da sigle scomode come
quella del Pkk («alla fine questi sono pur sempre considerati
un’organizzazione terroristica»). Ma, come scrive anche lui, «gli
schieramenti su base etnica so’ tutte cazzate bone per i talk show
strilloni»: e il suo tentativo è quello di spiegare almeno un po’ che
cosa succede in un incrocio di battaglie che si intrecciano da 40 anni,
attraverso gli occhi di una delle parti in campo.
«Non sarà un
grande racconto di fiction – aveva annunciato lui sul blog – ma una
testimonianza a fumetti, il più possibile sincera, di quello che abbiamo
visto in quei territori, tra quelle popolazioni che non stanno solo
resistendo all’Isis ma pure provando a inventarsi un sistema di vita e
di convivenza che qua non racconta mai nessuno perché fa più click uno
che sega la capoccia a un altro».
Quando è uscito La profezia
dell’armadillo, nel 2011, il libro sembrava essere una piccola
deviazione sul cammino del popolarissimo blog di fumetti. In cinque
anni, Zerocalcare ha creato un mondo fatto di personaggi che sono
diventati pietre di paragone per la sua generazione: gnomi saccenti e
spietati personaggi di videogiochi hanno acquisito nuove personalità,
diventando maschere di una commedia dell’arte contemporanea. Questa
volta, però, quasi tutti rimangono fuori dalle pagine del libro.
Perfino
l’armadillo che da sempre lo accompagna e gli fa da coscienza, nel
viaggio verso Kobane non c’è (quasi) più. Il suo posto è preso da un
bestione assai meno accondiscendente, il mammut di Rebibbia: il mitico
animale preistorico, già reso celebre da Zerocalcare, qui prende la
forma del suo senso di appartenenza a una casa, a un quartiere che lui
ha sempre indicato come unico e solo luogo delle proprie radici. Il
mammut lo guarda con sufficienza, offeso dal dubbio che il fumettista
possa aver trovato un altro posto in cui identificarsi. «Ma tu ci
andresti, a vivere là?», gli chiede. La risposta arriva, ma la domanda è
sbagliata. Perché in un mondo che sgretola i punti di riferimento, le
appartenenze sono punteggiate e rattoppate. E un fumetto riesce a
raccontarle meglio di tanti altri libri.