venerdì 8 aprile 2016

La Stampa 8.4.16
“L’umanità al tappeto ma forse si rialzerà”
Lo scrittore si racconta, mentre escono i taccuini scritti tra il 1988 e il 1998, Per le strade della Vergine
intervista di Bruno Quaranta

Un’apparizione di inverni fa. Guido Ceronetti in attesa di attraversare il corso, quasi avvoltolato nella nebbia alle sue spalle il palazzo dei draghi dove esordisce il film di Risi Profumo di donna, in mano due o tre rose pallide, come trepidano in un quadro di Gustavo Rol.
L’istantanea torinese riaffiora salendo le scale della dimora di fronte a quella visione, sull’uscio un giocoso avvertimento: «Se non sei un amico il malocchio ti colpirà». Fra le case e gli alberghi (come non ricordare il Viaggio in Italia?) che questo flâneur dalla capigliatura aghiforme via via alterna, ovunque lasciando un’orma, in primis d’inchiostro, perché «nulla die sine linea».
È l’urgenza che rintocca nei taccuini di dieci anni (dal 1988 al 1998) ora per i tipi di Adelphi, Per le strade della Vergine (pp. 278, €20), un po’ zibaldone, un po’ storia della mia vita, tra Leopardi e Stendhal...
«Di Stendhal mi ha influenzato la Vita di Henry Brulard, il suo modo di rendere le figure. Se non che io ci metto più attaccamento, più delusione, più violenza».
E Leopardi? Al poeta di Recanati l’accomuna il pessimismo?
«Mi riconosco semmai nel pessimismo di Schopenauer, che è metafisico. Leopardi è invece incardinato nei Lumi, nel Settecento».
Lei ha raccolto i Taccuini dal 1988 al 1998. Quel decennio che cosa significa nella sua esistenza, cominciata nel 1927?
«È il periodo in cui fermenta la disperazione. Per l’Italia, infine mi considero, sono, un patriota».
Il titolo. Lei identifica la «Vergine di Luce» con la Sapienza che in Giobbe si ripete di non sapere dove si trova. Dove l’ha trovata?
«Non l’ho trovata. Non l’ho neanche cercata. La considero come entità metafisica. Il che mi fa credere che sia presente. È come il Messia. Non viene, non verrà, ma sta venendo».
A un certo punto annuncia di aver terminato la rilettura integrale di Céline, del «Voyage», il suo libro cardinale.
«Céline, che enigma. Il suo feroce antisemitismo me lo allontana mille leghe. Che cosa mi attrae di Céline? Cala la sonda nell’animo umano, come fosse materia bruta. Così il Creatore lavora nella materia bruta, non avendo riguardo per alcuno. Sì, per Céline l’uomo è irredimibile».
E per Ceronetti?
«Fondo la possibilità che si redima sulla mancanza di un vero fondamento. Per l’uomo la partita è persa, per l’Italia è persa, per il cristianesimo quasi. Ma come non riandare a un match di box, Chicago, il favorito sta per essere proclamato vincitore, lo sfavorito, detto il filosofo, è al tappeto. Salvo, in extremis, rialzarsi. Non escludo che l’uomo si rialzi».
Il cristianesimo. Lei nomina Sergio Quinzio, annoverandolo tra «gli insopportabilmente cristiani del nostro tempo». Perché «insopportabile»?
«Non l’ho seguito nella corsa sfrenata a rinnegare tutto ciò che è mistico nel cristianesimo. Non gli si poteva parlare di Santa Caterina da Siena come di Santa Teresa d’Avila. Il suo era, è, un cristianesimo materialista».
Lei ha tradotto cinque libri della Bibbia, a cominciare da «Qohélet».
«A proposito. Leggo Giobbe e non posso non riaprire Céline. Si tengono per mano».
L’Antico Testamento più del Nuovo l’interpella...C’è un passo del Nuovo Testamento che l’abbia arpionata?
«Una lettera di San Paolo, là dove si afferma: “Dio ha rinchiuso tutto e tutti nell’empietà per avere pietà di tutti”».
Lei non esita a porre all’indice il politico, «fabbricatore di deserto».
«Una stagione non buia, meno buia? Nel ’45, una modesta, ma essenziale discontinuità con il regime totalitario, che però non tramonta in fretta. Il ripensamento si è manifestato in Germania. Dal ’46, quando Jaspers rifletteva sulla colpa, alla Merkel. Non a caso. La Germania, a differenza dell’Italia, è un Paese di filosofi».
C’è un italiano che abbia scalfito la sua disistima verso il ceto politico?
«Luigi Einaudi. Il pensatore. E lo scrittore».
I suoi rapporti con il figlio, Giulio? Con l’Einaudi ha pubblicato tra l’altro il capo d’opera, «Viaggio in Italia»...
«Certo, Einaudi. Avvertivo la sua fiducia. Ma il vero numen è stato Giulio Bollati. Rafforzandomi nella convinzione di tradurre Marziale, mettendo la sordina alla mia impetuosità, ha deciso il mio destino di traduttore fuori dei ranghi».
Ritorna spesso, nel suo Diario, Cioran, il filosofo rumeno di «Squartamento».
«Lo intervistai nell’80 per La Stampa. Non diceva balle. Noi siamo oppressi dal totalitarismo delle balle».
La verità di Cioran?
«Radicale, radicalissimo, nel sostenere che l’uomo è perduto sempre, qualunque cosa faccia».
Lei annota, a un certo punto, la morte di Mimy Piovene, la moglie di Guido Piovene, lo scrittore delle «Furie».
«Li invitai ad assistere a un mio spettacolo marionettistico, apparecchiato apposta per loro, La Iena di San Giorgio (che lo Stabile di Torino si ostina a non rimettere in scena, e dire che la storia è piemontese, e l’autore torinese). Ebbene: di Piovene mi seduce lo stile. Il vertice lo tocca nel postumo Verità e menzogna, uno squarcio profetico, ad onta di qualsivoglia buonismo».
Fra le figure che evoca, Luigi Pareyson, il filosofo di cui è stato allievo nell’Università torinese.
«Lo andavo a trovare a Rapallo, trascurando di far visita all’egregia Anna Maria Ortese. Pareyson, anche se più equilibratamente, riconosceva il male radicale. Non si dimentichi che suo padre era Dostoevskij».
Torino, la sua culla.
«La città dove si può riposare meglio, prometteva una guida del 1920. Un secolo fa. Ora è corrosa, intossicata, come l’Italia».
Che cosa rappresenta, positivamente, Torino per Ceronetti?
«La città delle amicizie, secondo i canoni ciceroniani che diventano ceronettiani. Nel segno della fedeltà, della libertà di pensare, tra le manie più malviste. Coltivo un’amicizia dal 1940, ogni volta che ci incontriamo “rivedendo” nel ricordo questo e quel film, da Il settimo sigillo a Bandiera gialla».
Pare affievolirsi l’udito di Ceronetti. Ma forse è solo un sintonizzarsi con i versi del prediletto Kavafis: «...il loro udito a volte è disturbato. Colgono l’eco segreta / di ciò che sta per accadere; l’ascoltano / devoti. Mentre fuori in strada / il popolo non sente proprio nulla».