mercoledì 6 aprile 2016

La Stampa 6.4.16
Si accende lo scontro toghe-politica e i magistrati si affidano al “duro” Davigo
La mente del pool di Mani pulite favorito per l’Anm
Disse: non esistono innocenti ma colpevoli da scoprire
di Mattia Feltri

Se Piercamillo Davigo sabato fosse davvero eletto alla presidenza dell’Associazione nazionale magistrati, le teorie cospirazioniste del governo troverebbero altri appigli. Magari a torto, ma con qualche giustificazione, poiché Davigo è uomo noto per una visione del mondo severa e implacabile: ventidue anni fa disse, a proposito di Mani pulite, che restavano «da compiere ancora i rastrellamenti». Oggi, disilluso ma non disarmato, è giunto alla conclusione che «chi vive in Italia ed è ottimista è cretino». Non sarebbe dunque facile trattare con un leader sindacale accanito, assertivo, che ha definito «sedicente anticorruzione» la legge Severino e «dilettanti allo sbaraglio» i legislatori deputati a ridurre - secondo lui con risultati opposti - le ferie alle toghe. Però Matteo Renzi non si rigiri nel letto: l’elezione del nuovo presidente è prevista fra tre giorni e Davigo non è poi così favorito (i politici ne hanno il terrore, ma non tutti i colleghi sono pazzi di lui).
Per i pochi disinformati, Davigo è nato a Candia Lomellina (Pavia) nell’ottobre del ’50, è consigliere di Cassazione ed è stato uno dei pm - la mente giuridica - del pool Mani pulite. Ci si ricorderà delle foto dei quattro moschettieri, Antonio Di Pietro, Gerardo D’Ambrosio, Gherardo Colombo e Davigo, tutti con caleidoscopiche giacche a quadrettoni. Di Pietro ha fatto il ministro con l’Ulivo, D’Ambrosio il senatore del Partito democratico, Colombo il consigliere d’amministrazione Rai «in quota società civile, gradito al Pd», secondo una formula elusiva ma irrinunciabile. Davigo no. Davigo intanto ha fama di essere di destra («fascista» secondo la spericolata catalogazione di Francesco Cossiga), tesi sulla quale si è combattuta l’ipotesi delle toghe rosse; poi ha spesso sostenuto, anche quando ha fondato la sua corrente in Anm, che «i magistrati non devono fare politica, mai». Nel senso che non devono farla dentro i partiti o le istituzioni, al massimo ci si imbattono per i casi della vita. Nel ’93, per esempio, alla notizia del licenziamento del decreto di Giovanni Conso, che stabiliva la depenalizzazione del finanziamento illecito ai partiti, Davigo si associò ai compagni del pool augurandosi che «ciascuno si assuma davanti al Popolo Italiano [maiuscolo nel testo del documento] le responsabilità politiche e morali [...] riteniamo infatti che il prevedibile risultato delle modifiche legislative sarà la totale paralisi delle indagini».
Accidenti, ora bisognerebbe capire quanto il documento fosse politico e quanto esistenziale, o professionale. Ma sarebbe ozioso. Più utile fornire qualche elemento che illustri la forte e rigorosa personalità di Davigo, qualora sabato la spuntasse. La sua frase più celebre, «rivolteremo l’Italia come un calzino», è in comproprietà con Giuliano Ferrara e siccome entrambi ne rifiutano la paternità è finita a querele. Diciamo allora che è di Ferrara. Altre invece sono indubbiamente sue e indicative. «Stiamo processando un regime prima della sua caduta». «Gli inquisiti non si possono lasciare in libertà altrimenti la gente si incazza». «Non esistono innocenti ma soltanto colpevoli ancora da scoprire» (questa in compartecipazione con Marco Travaglio). «Troppa carcerazione preventiva? Forse abbiamo esagerato con le scarcerazioni...». «Ricordatevi che noi siamo i buoni». «[I corrotti] me li immaginavo come i Visitors, con la lingua verde». «Lo Stato la smetta di coprire i reati». «L’attività di destra e sinistra degli ultimi venti anni è stata di rendere più difficile la lotta alla corruzione». «Ci sono imputati che, come le Brigate rosse, non vogliono farsi processare». «Mi sento impallinato alle spalle dagli altri poteri dello Stato». «Il processo breve è una cialtronata della peggior specie». E infine «Ponzio Pilato era un cialtrone»: aveva cercato «in tutti i modi di non occuparsi del processo a Gesù».