La Stampa 5.4.16
Il giusto rispetto per il Talmud
di Gavriel Levi
Il
Talmud è, in sostanza, la bibbia orale degli ebrei. O meglio: il motore
di questa bibbia orale. Stampato, copre una ventina di volumi. Ma la
scrittura è un’apparenza, perché le pagine sono tutte parlate.
Come
dato storico, il Talmud è, appunto, un testo orale (la mishnà) che, in
un periodo di difficoltà, è stato salvato su una pagina scritta e che è
stato subito restituito all’oralità, da un’esplosione mirata di tanti
testi orali (la ghemarà).
Il Talmud è come il pentagramma che
esiste soltanto per essere suonato. Non si può comprendere il Talmud
senza partire da questo assunto e senza entrare nella memoria emotiva
del discorso orale.
Il discorso talmudico è la somma di tanti
dialoghi. Di due persone che, per affrontare il problema pratico di
qualcosa da fare, parlano di un testo e lo confrontano con un altro
testo e lo interpretano rispetto ad altri dialoghi ed altri testi.
Lo
sfondo in cui questo dialogo complesso si muove è costituito da diverse
dimensioni conflittuali: il conflitto tra situazioni concrete
particolari e principi teorici più o meno generali; il conflitto tra
norme religiose e norme etiche; o comunque anche tra diverse norme
religiose o tra diverse norme etiche; il conflitto tra la logica umana
(sevarah) e la trascrizione del messaggio divino (qabbalah); il
conflitto tra le verità che ogni alunno-maestro porta con sé e che si
risolve soltanto scoprendo la verità di un altro alunno-maestro.
La
discussione talmudica è un grande gioco caleidoscopico. Ogni norma può
essere confrontata e pensata rispetto a qualsiasi altra norma. Ogni
fatto umano rispetto a qualsiasi altro fatto umano. Qualsiasi norma con
qualsiasi fatto. I collegamenti sono stabiliti in base a regole
linguistiche ed a regole logiche. Ma l’insieme dimostra una realtà
potenziale infinita. Con un filo rosso che costruisce un percorso
antropologico, ad intensità religiosa crescente.
Va considerato un
altro punto caratteristico. La discussione talmudica è presentata come
se tutti quelli che parlano stessero seduti intorno allo stesso tavolo.
Ma la gran parte degli interlocutori che sembrano parlare a botta e
risposta, non si sono mai neppure incontrati.
Per capirci con un
esempio: un dialogo è aperto da un allievo-maestro vissuto nel 350, che
pone una domanda rispetto a un altro allievo-maestro vissuto nell’anno
210 (in contraddizione con un’idea espressa nell’anno 180).
Il
dibattito sembrerebbe senza sbocco, se non intervenisse una risposta
formulata nell’anno 270 da un altro allievo-maestro su un argomento più o
meno parallelo...
È evidente che il dialogo talmudico riassume
diverse discussioni, cucite secondo un filo logico coerente ma in
qualche modo surreale. Insomma: la redazione talmudica utilizza
consapevolmente il contrasto che esiste tra la logica del discorso e la
sua proiezione cronologica.
È giusto interrogarsi sul senso di
questa straordinaria formula. Perché mantenere una sequenza formalmente
fuori del tempo? Si poteva benissimo sviluppare, almeno nella scrittura
un ragionamento coerente tanto per i passaggi logici quanto per la
successione temporale. Perché portare ogni futuro studioso del Talmud in
una specie di macchina del tempo, inventata apposta per lui?
La
risposta è semplice e non banale. Gli allievi-maestri del Talmud hanno
scelto di inventare un monte Sinai umano: se Dio ha parlato una volta
sul Sinai e se vogliamo continuare questo dialogo, il Sinai lo dobbiamo
costruire noi. Tutti assieme, in una realtà vista all’infinito e quindi
fuori dal tempo.
In sintesi: il Talmud è il ribaltamento della
rivelazione divina. Quella che, con tutti i limiti dell’essere umano,
parte da terra per arrivare al cielo.
Un’ultima annotazione
conclusiva: il Talmud è stato trasmesso dai maestri farisei in oltre 600
anni di confronto e durante diverse ondate di persecuzioni. Il Talmud è
stato messo al rogo in diverse città d’Europa, nel Medioevo come alle
soglie della modernità.
Il pregiudizio antigiudaico che ha portato
ai roghi del Talmud esiste ancora. Oggi si esprime con l’uso dei
termini farisei, rabbinico e talmudico come sinonimi di formalismo
rituale, ipocrisia, aridità morale e peggio.
Forse è giunto il momento di alzare una voce forte e chiara per restituire al Talmud e ai farisei il giusto rispetto.