Repubblica 5.4.16
Se il Talmud non risponde hai sbagliato la domanda
Parla Adin Steinsaltz, il più grande traduttore del testo ebraico che ora esce in italiano
“Studiarlo è come stare seduti attorno a un tavolo e discutere al presente con
Mosè e i profeti”
di Susanna Nirenstein
ROMA
Arriva direttamente da Tel Aviv al nostro appuntamento romano, piccolo,
vestito in modo caotico di nero come gli ebrei ortodossi ashkenaziti,
incorniciato dai capelli e la barba bianca disordinati, con una voce
sottile, musicale, come abituata al ragionamento continuo tra sé e sé, e
tra sé e i massimi sistemi. Il rabbino Adin Steinsaltz, massimo esperto
di Talmud nel mondo (ieri un’edizione di “Parole semplici” è uscita a
Taiwan e pochi giorni fa in Iran!), il suo traduttore per eccellenza,
nonostante i suoi ottanta anni ha sorrisi e sguardi che tradiscono tutta
la forza vitale, mentale, incantano. È qui perché deve presentare oggi
all’Accademia dei Lincei il volume del Talmud il Trattato di Rosh
haShanà tradotto in italiano, il primo dell’intera opera che sarà
pubblicata dalla Giuntina, un’impresa mastodontica (le pagine in tutto
sono 5422, i trattati 36, gli ordini 6) voluta dal rabbino capo di Roma
Riccardo Di Segni, presidente del Comitato in cui sono parte importante
anche le istituzioni italiane.
Guarda un foglio dove abbiamo
appuntato le nostre domande, e dice subito, ridacchiando, che non è
disposto a stare dieci ore insieme a noi. È stanco? «Io non sono mai
stanco» risponde. E prende una sua strada, molto personale, un diluvio
di parole, per rispondere (estrapoliamo) innanzitutto che il Talmud
Babilonese (ce n’è anche uno di Gerusalemme, meno ampio e frequentato)
sunteggia la legge ebraica orale (la Mishnà, ovvero il codice normativo
trasmesso sul Sinai a Mosè in ebraico ma non per scritto) e il suo
commento redatto in aramaico-ebraico, una sintesi delle discussioni dei
maestri, i chakhamim, sulla Mishnà stessa, perché il Talmud è l’unico
libro sacro al mondo che non solo permette ma incoraggia ogni domanda,
ogni dubbio, e accetta, anzi sprona, risposte discordanti, e le riporta
pur cercando infine elementi in comune che non sempre arrivano.
Va
bene, ma perché tradurlo, non perderemo parte del significato, i
riferimenti all’uso della stessa parola in altri testi, o il suo valore
numerico? Lei è stato il primo a trasporlo tutto in ebraico, ed è stato
anche molto criticato.
«Conosco una bella frase in italiano, “il
traduttore è un po’ un traditore”, ed è vero. Ma è alla base del
rapporto tra le civiltà. Ogni traduzione perde qualcosa, ma se vuoi
trasportarla nel mondo devi rischiare, anche se nel trasmetterla va via
un po’ di bellezza, un po’ di sostanza. Rendere così accessibile il
Talmud è un atto, un gesto che in qualche modo cambia una tradizione per
cui, specie ai tempi della trasmissione orale, lo studio era ristretto a
una cerchia limitata, al maestro e ai suoi discepoli. Qualcuno pensa
ancora che sia questa la condizione migliore. Ma io no, e non solo io
evidentemente. Ho letto una Divina Commedia in ebraico, e sicuramente
non era la stessa cosa. È più facile tradurre la fisica, la matematica.
Ed è ancor più facile farlo se mettiamo mano a un testo che appartiene
alla stessa epoca e alla stessa cultura della lingua in cui lo
trasponiamo, che so, un romanzo italiano in un romanzo francese del
Novecento. Ma per i libri antichi e per di più provenienti da una
tradizione diversa, sono guai. Inoltre il linguaggio del Talmud non era
nemmeno allora comune, si tratta di una sorta di gergo tra aramaico e
ebraico. Spero che l’italiano usato in questa opera comunque renda
l’idea della sua bellezza».
Ma perché in italiano poi, una lingua
parlata da pochi milioni di persone, un paese con una comunità ebraica
piccolissima? È un testo universale? Cosa ci cercherà un non ebreo?
«Certo
sarebbe meglio che uno studiasse la lingua e la cultura ebraica per
affrontarlo. Ma chi ha tutto quel tempo? Vede, il Talmud è stato per
secoli un grande mistero, la gente era sicura che dentro ci fossero dei
segreti oscuri. Spesso lo prendevano e lo davano alle fiamme,
dall’antichità giù giù fino ai nazisti, lo distruggevano: pensavano che
attraverso quelle pagine gli ebrei mandassero non si sa quali
maledizioni o evocassero strani poteri. Era più una leggenda che un
fatto. E i miti, i pregiudizi, continuano ancora. In Italia spesso ad
esempio si pensa che gli ebrei siano mezzo milione invece dei 35.000 che
sono! Noi ora prendiamo la nostra scatola chiusa e l’apriamo: che
guardino dentro. Se la Bibbia è la prima pietra del giudaismo, il Talmud
ne è il pilastro centrale: leggano, non ci sono arcani. Al massimo
potranno dire che siamo pazzi».
Qual è la caratteristica principale del Talmud, invece?
«La
sua essenza ha trasmesso al mondo il grande messaggio del pensiero
dialettico. E il mondo ne ha un grande bisogno perché traversa un
periodo di follia, di estremi. Occorre guardare, capire, porre e porsi
molte domande. Tentare di rispondere. Tutto il Talmud è fatto di
dibattito e pensiero, su qualsiasi argomento, scienza, uomini, donne,
astronomia, economia, agricoltura, persino fecondazione artificiale...
».
Lei ha scritto che nel Talmud ci sono soggetti che è
impossibile veder accadere nella realtà, come allora probabilmente era
la fecondazione artificiale.
«È un modo meraviglioso per imparare a
fare le domande migliori. Su tutto. La scienza ti risponderà sulla
differenza tra la luce rossa e la luce blu, ma i veri punti
interrogativi riguardano cosa c’è tra un uomo e un altro. La matematica
non se ne occupa. Il Talmud dibatte di cosa è fatta la vita. E ogni
allievo ebreo apprende come porre non una ma cento questioni, e cerca
una risposta. Anche ai quesiti più assurdi, tipo immaginare un oggetto
in quarta dimensione, e in quinta e magari in sesta. La teoria fisica
delle stringhe molti secoli dopo ne ha parlato».
Un procedere per paradossi?
«No,
una visione del mondo, il Talmud è vivo, è capace come un artista di
scolpire nel marmo una fontana con l’acqua scrosciante. Penseresti che è
impossibile e invece lo è. Studiare il Talmud, è come stare seduti a un
tavolo lunghissimo e discutere con Mosè, i profeti, i maggiori maestri,
e me, e lei. Al presente».