La Stampa 5.4.16
Comunisti e grandi evasori
I familiari dei leader cinesi nell’indagine sull’offshore
di Cecilia Attanasio Ghezzi
Si
sapeva già. Ma i Panama Papers lo confermano. Le élite cinesi portano i
loro capitali offshore. E tra di loro, i famigliari di almeno otto
membri o ex membri del Comitato permanente del Politburo, il gotha del
Partito comunista cinese si sono serviti dello studio legale Mossack
Fonseca. Lo riporta il Consorzio internazionale per il giornalismo
investigativo (Icij) che già nel 2014, con un’inchiesta
significativamente intitolata «Repubblica popolare dell’offshore», aveva
dimostrato che circa 37mila cittadini della “Grande Cina” (Repubblica
Popolare, Hong Kong e Taiwan) portavano capitali nei paradisi fiscali.
Tra
i nomi confermati ieri ci sono anche Deng Jiagui, il cognato del
presidente Xi Jinping, Li Xiaoling, la figlia dell’ex premier Li Peng,
Jasmin Li, la nipote del numero 4 dello scorso governo Jia Qinglin e
l’architetto francese Patrick Henri Devillers che aveva aiutato la
moglie del leader caduto in disgrazia Bo Xilai a portare i propri averi
fuori dal paese. Ancora nessuna delle persone interessate dai leak si è
resa disponibile per un commento all’Icij. La notizia non è stata
riportata dai media governativi cinesi, né si registrano smentite di
alti funzionari. Ma è comunque destinata a rimbalzare (e a essere
censurata) sui social network cinesi.
Le rivelazioni sono in
continuità con l’inchiesta di Bloomberg del 2012 che aveva tracciato il
quadro delle enormi fortune dei 103 cinesi, imparentati con quelli che
in Cina si chiamano gli “otto immortali”, ovvero coloro che più
attivamente collaborarono con Mao Zedong alla fondazione della
Repubblica. Furono poi allontanati dai centri nevralgici del potere
durante la Rivoluzione culturale e ritornarono a ricostruire l’economia
cinese alla morte di Mao. Sono loro che sono riusciti a far crescere gli
standard di vita della popolazione senza che il Partito comunista
perdesse il potere e oggi sono i loro nipoti a gestire i private equity e
l’integrazione della Cina nell’economia globale. E i loro parenti a
portare i capitali offshore. Nessuna delle informazioni fin qui uscite
si configura come reato. Ma se si pensa che il salario del presidente Xi
Jinping, riportato dai media di stato è di poco più di 1500 euro al
mese, è evidente che la prima domanda da porsi sarebbe: da dove vengono i
soldi ammassati nei paradisi fiscali? Un’opinione pubblica informata
non tarderebbe a chiederne conto.