La Stampa 5.4.16
È un lunedì nero, il premier lo sa e reagisce col suo schema: all’attacco
L’audizione della Boschi, i trabocchetti in direzione e la contro-strategia
di Federico Geremicca
Ci
sono giornate, diciamo la verità, che uno cancellerebbe molto
volentieri sia dalla memoria che dal calendario. Non potremmo giurarlo,
naturalmente, ma forse questo lunedì 4 aprile è uno di quei giorni che
Matteo Renzi cestinerebbe senza nemmeno pensarci su. Non è questione di
una faccenda oppure di un’altra: è il quadro complessivo che comincia a
dar pensieri. Ed è un quadro che questo giorno di inizio aprile ha
appesantito ancora un po’.
Facciamo l’elenco? Intanto la ferita
più profonda: il pensiero di Maria Elena Boschi seduta di fronte al
Procuratore di Potenza, mentre lui infila la giacca e va in quella sorta
di «plaza de toros» che è diventata la direzione Pd dove ascolta gli
oppositori interni dirgli finalmente «in faccia» e con coraggio che «non
ti stai mostrando all’altezza del ruolo di leader» e che «la tua
segreteria è stata del tutto insufficiente». Un salto di qualità.
Quindi
qualche inciampo con la magistratura lucana (da evitare, naturalmente) e
con i media (da evitare assolutamente) che sintetizzano in un «Renzi
attacca i giudici» una annotazione del premier verso i pm di Potenza
certo non carina: «Lì ci sono indagini che hanno la cadenza delle
Olimpiadi, ogni quattro anni, e non si è mai arrivati a sentenza».
Peccato che venti minuti dopo un flash dell’Ansa annunci: «Inchiesta
Tempa Rossa: condannati gli ex vertici Total». A dimostrazione del fatto
che quando non è giornata...
Del resto, che questo lunedì non
sarebbe stato ricordato come tra i migliori, s’era capito fin dal
mattino. Il rapidissimo punto tattico-strategico fatto di buon’ora col
fidatissimo Sensi, infatti, tratteggiava una situazione complicata,
appunto. Dovunque Renzi allungasse lo sguardo, non scorgeva altro che
nuvole gonfie e nere.
Il quadro poteva essere riassunto più o meno
così. Le opposizioni parlamentari al lavoro su mozioni di sfiducia che
stavolta sarebbe un errore sottovalutare; i Cinque Stelle in pullman da
Roma verso la Basilicata per suonare la loro rumorosissima grancassa; il
Procuratore della Repubblica di Potenza, invece, che in auto cominciava
a fare il tragitto inverso per ascoltare la ministra Boschi. E poi
quella maledettissima direzione del Pd, che certo non poteva esser fatta
slittare un’altra volta.
Come andare incontro, allora, a questo
giorno totalmente da cancellare? Diciamo la verità: non è che di schemi
di gioco Matteo Renzi ne conosca molti. E quelli che conosce, vengono
puntualmente sacrificati sull’altare del preferito: attaccare,
attaccare, attaccare. Come Sacchi e come Zeman nel calcio, il verbo è
unico: andare avanti e non fermarsi mai.
Ed è con questo spirito
che a fine mattinata ha incontrato e incoraggiato la ministra Boschi,
alla vigilia del faccia a faccia col Procuratore Gay: «Tranquilla, Mari,
hai fatto solo il tuo lavoro. Questa faccenda si smonterà». E in
serata, a incontro e Direzione conclusa, non ha potuto che condividere
la sorpresa della ministra (quasi il fastidio) di fronte a certe
lagnanze del Procuratore: Luigi Gay, infatti, lamentava le fughe di
notizie sull’inchiesta e il fatto che anche la circostanza dell’incontro
fissato fosse stata fatta trapelare, quasi attribuendone la
responsabilità a fonti del ministero.
Attaccare, attaccare,
attaccare, dunque. Eppure, quando con quasi un’ora di ritardo Renzi si è
presentato alla tribunetta della direzione Pd, il linguaggio del corpo -
come si dice - tradiva l’ansia e la preoccupazione per questo lunedì da
cestinare: la rasatura non perfetta, il colletto della camicia
malamente sbottonato, e poi la faccia scura e il sudore frutto del gran
caldo.
Ma ha attaccato. Su tutta la linea. Sul
referendum-trivelle, che è un errore, che è un andare contro norme e
leggi volute dallo stesso Pd, ma poi chi vuol votare vada, l’astensione
non è un ordine e nemmeno un dogma; sul via libera a «Tempa Rossa», che
lui ridarebbe mille volte, rivendicando anche la legittimità ad
incontrare grandi gruppi e multinazionali che vogliono investire (e
creare lavoro) qui da noi; sul Pd e sulla minoranza interna, che stia
attenta a quel che fa, perchè se i grillini hanno pensato perfino di
poter chiederle il voto sulla mozione di sfiducia, «allora un problema
c’è».
Attaccare. E Renzi ha attaccato. Ma in fondo sarebbe forse
meglio dire che ha contrattaccato. Perché è strana la sensazione che
resta appiccicata alla fine di questo lunedì di ombre e nuvole: con le
inchieste che incalzano, le opposizioni che caricano, la minoranza che
non molla e le amministrative ormai vicine, il premier è come entrato in
un tunnel lungo e buio. Sta a lui, uomo solo al comando, cercare di
uscirne. Nonostante questo e magari altri lunedì da cancellare.