La Stampa 30.4.16
L’omertà degli adulti battuta dal coraggio dei più piccoli
Viaggio nel quartiere ostaggio di camorra e spaccio
di Maria Corbi
Se
esiste l’inferno è verde come i palazzoni di questo pezzo di Italia
dove le parole e i nomi non hanno senso. Fortuna si chiamava la bambina
di sei anni, abusata e gettata dal settimo piano di uno questi monumenti
al degrado. «Parco verde», il luogo dell’orrore, una distesa di cemento
ormai marcito, alloggi destinati ai terremotati del 1980, dove tutto
sembra grigio, anche le aiuole e quelli che dovevano essere prati, dove
invece dei fiori si colgono siringhe gettate dai tossici. Seimila anime
che affollano questo girone dantesco (il 30 per cento con precedenti
penali) che ha inghiottito la vita di Fortuna, ma anche di Antonio, 2
anni (precipitò nel 2013 dalla casa della nonna al settimo piano),
figlio di Marianna Fabozzi, la compagna del presunto assassino di
Fortuna, Raimondo Caputo.
La certezza
La mamma della piccola
lo aveva sempre detto: «La hanno uccisa e il mostro abita in questo
palazzo», nell’isolato 3, 8 piani affacciati sul nulla, dove da quel
maledetto giorno tutti hanno avuto un obbiettivo: descrivere la madre di
Fortuna come una madre poco attenta e tirarsene fuori.
«Nessuno
ha mai voluto aiutarmi, nessuno ha detto una parola anche se qualcuno
sicuramente sapeva», dice Domenica. Lei è sempre stata sicura, ed è
l’unica che può permettersi il lusso di non essere prudente nel puntare
il dito contro Raimondo Caputo che nega tutto e ripete «sono un bravo
papà». Le accuse che lo tengono in prigione da ben prima che ieri
scattasse l’ordinanza di custodia per la morte di Fortuna, dicono altro:
lui avrebbe abusato delle altre tre figlie della compagna, tutte minori
di 10 anni, e lei, la madre, sapeva e copriva (adesso è agli arresti
domiciliari, indagata anche per omicidio colposo per la morte di suo
figlio Antonio).
Fortuna giocava sempre in quella casa perché
adorava la figlia della compagna di Caputo, Dora, un paio di anni più
grande, anche lei costretta alle turpi attenzioni del patrigno. «Io ho
sempre saputo», ripete Domenica, la mamma di Fortuna che è tornata da
poco qui dopo un periodo al Nord, a casa della sorella. Il giudice le
aveva imposto il divieto di soggiorno a Caivano per una storia di
banconote false. E’ pallida, una ruga profonda le segna il volto e
racconta il dolore. «Finalmente siamo riusciti a vedere il volto di chi
ha ammazzato mia figlia», dice seduta su una staccionata. Sua madre è
poco più in la, circondata da vicine di casa che fumano tutte e parlano
in dialetto stretto. Qui l’abbandono scolastico è altissimo.
L’alfabetizzazione un terno al lotto. Anche il padre di Fortuna, uscito
dal carcere, è da queste parti. Pezzi di famiglia che vagano, uniti solo
dalla sofferenza.
Il male nascosto
I carabinieri che hanno
condotto le indagini conoscono bene Caivano e Parco Verde dove droga,
camorra, cadaveri bruciati, li tengono parecchio occupati, dove anche
una parola di troppo tra vicini finisce con una tanica di benzina, un
fiammifero e il falò di una macchina parcheggiata. Ma anche per loro
trovarsi di fronte al male che non risparmia i bambini è stato uno choc.
Perché in questi anni di indagini è venuto fuori che tutta questa
omertà oltre a una cultura sbagliata, all’emarginazione, era dovuta
anche ad altro, al voler tenere nascosto un mondo di orchi, una rete di
pedofili, come la definiscono senza giri di parole gli inquirenti.
Indagando su Fortuna è venuto fuori che almeno altri 4 minori sono stati
vittime di abusi. E a Natale sconcertò l’arresto di Salvatore Muzzi,
colui che soccorse per primo Fortuna portandola al pronto soccorso
accusato di aver molestato una dodicenne. Storie tremende che emergono
da atti giudiziari e perizie dove ogni parola è un pezzo di inferno.
La
scarpina destra di Fortuna (che non venne trovata sul luogo della
caduta) sarebbe stata occultata da una signora all’ottavo piano del
palazzo in cui viveva la piccola. «La stessa che negò di aver visto
qualcuno sul pianerottolo poco prima della caduta della bambina», spiega
Airoma. «Lo avrebbe fatto per tutelare il figlio che era ai
domiciliari». Particolare importante che collega quella che sembrava una
caduta accidentale a giugno 2014 con quella di Antonio Giglio, figlio
di Marianna Fabozzi, ai domiciliari per un’altro filone dell’inchiesta,
il cui compagno, Raimondo Caputo, è ora accusato di omicidio e violenza
sessuale. Anche la scarpina destra di Antonio non fu mai trovata.
E
se gli adulti non hanno aperto bocca per aiutare le indagini, la svolta
si deve a tre bambini, i figli di Marianna Fabozzi che una volta
allontanati da casa hanno raccontato la loro vita oppressa dalla paura e
dalla violenza.
L’unica nota positiva – spiega Airoma - è che
adesso i bambini hanno ripreso a giocare e a sorridere. Lontano da Parco
Verde, lontano dall’Inferno.