sabato 2 aprile 2016

La Stampa 2.4.16
La sinistra punta sul referendum-trivelle
“Prova generale della spallata d’autunno”
Renziani tranquilli: azzurri e leghisti non voteranno
di Carlo Bertini

Non è tanto la mozione di sfiducia dei grillini il terreno di scontro che attende il governo di qui alle prossime settimane: quella non preoccupa granché, tanto più che all’appello dei 5stelle, definito «patetico» dal vicesegretario Guerini, la minoranza Pd ha ovviamente risposto picche, «non potendo fare altrimenti pena l’uscita dal partito», allarga le braccia uno degli uomini del premier. E’ piuttosto la data del 17 aprile, quella del referendum sulle trivelle, ad infiammare gli animi, perché nelle intenzioni della sinistra fuori dal Pd può costituire la prova generale della «spallata» che si vorrebbe infliggere a Renzi a ottobre col referendum sulle riforme costituzionali. Le opposizioni per due settimane proveranno a cavalcare la vicenda Guidi per svegliare gli elettori e convincerne il maggior numero possibile ad andare a votare. Non tanto con la speranza di superare il quorum, quanto piuttosto di usare questo referendum come primo attendibile sondaggio di ciò potrebbe accadere in autunno al secondo round.
In un corridoio della Camera, prima di infilarsi in una riunione di Sinistra Italiana, l’ex piddì Alfredo D’Attorre, svela il calcolo che c’è alla base di questo auspicio, che parte dalla previsione di affluenza: «Se al referendum sulle trivelle votasse il 40% di elettori e vi fossero 16 milioni di sì, sarebbe sufficiente per poter sperare in un esito positivo in autunno. Siccome gli aventi diritto al voto in Italia sono circa 50 milioni, si è calcolato che potrebbero votare al referendum costituzionale 32-34 milioni di italiani e quindi basterebbero 17-18 milioni di no in quel caso per mandare a casa questo governo. Non è impossibile...»
Ragionamenti tutti sul filo, che danno per scontate molte cose, come la circostanza che tutti coloro che andranno a votare contro le trivelle, in contrasto col dettato del Pd sull’astensione, sono automaticamente da considerare a sfavore delle riforme del governo nella tornata referendaria successiva. Ma questi calcoli degli oppositori fanno capire come lo scandalo che ha investito il governo sia considerato un buon viatico per affrontare la prima prova del 17 aprile. Ma gli uomini del premier sono tranquilli assai, malgrado la sinistra interna, cioè i bersaniani, sollevi grida contro «i fatti inquietanti» e lunedì in Direzione chiederà di «non mettere la testa sotto la sabbia», come ha già avvertito il lucano Speranza. I renziani - in un antipasto dello scontro che andrà in scena lunedì - già ricordano che non uno della minoranza fosse contrario a suo tempo a quell’emendamento su Tempa Rossa. E fanno i loro conti, «loro alzeranno i toni e proveranno ad aprire un fronte politico sulla trasparenza, ma è difficile che questa vicenda, pur grave, possa spostare una quota importante di italiani al referendum sulle trivelle». La convinzione è che l’elettorato leghista tutto concentrato al nord sia poco sensibile, così come quello berlusconiano. E il rammarico casomai è non aver già approvato la normativa sul conflitto di interessi ancora ferma alla Camera, che forse avrebbe evitato anzitempo questo pasticcio...