mercoledì 27 aprile 2016

La Stampa 27.4.16
Dall’Africa al terrorismo interno
Quei corpi d’élite preparati a tutto
Quali sono le forze speciali che il nostro Paese utilizza nei teatri di crisi
di Giuseppe Cucchi

Il nuovo «Libro bianco della Difesa», reso pubblico solo qualche mese fa, indica una progressiva maggiore integrazione fra le varie componenti dello strumento militare come uno dei principali obiettivi da conseguire nei prossimi anni. Nelle Forze Armate esiste però già un settore, quello delle forze speciali, in cui l’unificazione - avviata nel 2004 - è stata portata avanti con decisione tale che sin dal 2008 il Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (Cofs per chi condivida la passione Nato per gli acronimi) è stato giudicato dall’Alleanza Atlantica come un comando Idoneo a gestire operazioni speciali nell’ambito della Nato Response Force.
Alle dipendenze del Cofs, dislocato a Centocelle con dipendenza diretta dallo Stato Maggiore della Difesa, è stata posta una serie di unità che costituiscono l’aristocrazia delle nostre Forze Armate. L’Esercito ha fornito il 9º Reggimento d’assalto Paracadutisti «Col Moschin». Un reparto che è l’erede delle glorie della Brigata Paracadutisti Folgore e dei reparti di Arditi della prima e seconda Guerra Mondiale.
La Marina ha contribuito con il Goi, il Gruppo Operativo Incursori del Raggruppamento Subacquei ed Incursori «Teseo Tesei».
Per l’Aeronautica c’è poi il 17º Stormo Incursori, derivato dagli Arditi Incursori della Regia Aeronautica che operarono soprattutto in Africa Settentrionale contro le infrastrutture aeronautiche alleate.
Completa il quadro il Gruppo Intervento Speciale (Gis) dei Carabinieri, voluto da Cossiga negli Anni 70 per contrastare il terrorismo. Si tratta di reparti di dimensioni ridotte ma di specializzazione altissima, in grado di intervenire con efficacia in ogni ambente e situazione. La loro consistenza organica rimane ovviamente segreta, ma non supera in ogni caso le poche centinaia di persone.
Con loro e per loro, nella funzione di supporto operativo, sono però previsti anche il 3º Reggimento Elicotteri Operazioni Speciali «Aldebaran» e l’11º Reggimento Trasmissioni dell’Esercito. Nel caso in cui l’azione che li impegna richiedesse forze maggiori è anche pianificato, quale supporto al combattimento, l’intervento del 4º Reggimento Alpini Paracadutisti «Monte Cervino» e del 185º Reggimento Paracadutisti Ricognizione Speciale «Folgore».
Vi è da rilevare come la presenza nel complesso dei Carabinieri del Gis, cioè di forze che sono anche forze di polizia, ben si inquadri nella logica della minaccia attuale che, soprattutto nel caso del terrorismo islamico fondamentalista, non è più esterna o interna, ma interna ed esterna nel medesimo tempo.
Diviene quindi obsoleta la tradizionale distinzione fra Forze dell’Ordine, custodi della sicurezza interna di un Paese, e Forze Armate, responsabili della sua sicurezza esterna. Si tratta di un concetto che sino ad ora era stato recepito unicamente dalla nostra Intelligence che, pur mantenendo due rami distinti, l’uno per l’Italia e l’altro per l’estero, li aveva però sottoposti al coordinamento di un superiore livello unitario.
Nel medesimo senso, quello cioè di una più stretta armonizzazione di tutte le forze destinate a operare per la nostra sicurezza, nonché del quadro anche legale in cui esse possono essere chiamate ad agire, è poi indirizzato anche il cosiddetto «emendamento La Torre», approvato l’anno scorso dai due rami del Parlamento nell’ambito del ddl relativo alle missioni militari italiane all’estero. Con esso si dà facoltà al Presidente del Consiglio, sentito il Copasir (cioè l’organo parlamentare di controllo dell’operato dei servizi di sicurezza), di estendere qualora necessario anche alle forze speciali delle Forze Armate operanti «in situazioni di crisi o di emergenza all’estero che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale o per la protezione dei cittadini italiani residenti all’estero» le garanzie funzionali già previste per l’intelligence.
Le nostre forze speciali vengono così poste in condizione di poter operare fuori dall’Italia in un quadro normativo che le tuteli anche nel caso di azioni condotte in situazioni confuse e in ambienti così degradati da rendere difficile, se non impossibile, individuare riferimenti governativi accettabili. Un quadro che è ad esempio quello della Siria e che potrebbe essere in futuro anche quello della Libia, nel caso in cui l’esperimento del governo Sarraj non dovesse avere successo.