Corriere 27.4.16
Riforma costituzionale
Le critiche degli esperti
risponde Corrado Augias
Mi
piacerebbe un approfondimento sul documento di critica delle riforme
confuse firmato da 11 ex presidenti della Corte costituzionale e da
altri 45 giuristi.
Gianluigi Parmeggiani
Caro Parmeggiani,
I
firmatari del documento dichiarano di non essere pregiudizialmente
contrari alla riforma della Costituzione e le riconoscono alcuni meriti
fra cui la fine del bicameralismo perfetto e la clausola che affida
esclusivamente alla Camera dei deputati il compito di dare e revocare la
fiducia al governo. Ma avanzano critiche e riserve di cui almeno
quattro hanno una particolare importanza.
In primo luogo,
ricordano che il risultato è stato raggiunto con maggioranze
parlamentari ondeggianti e contingenti, «anziché come frutto di un
consenso maturato fra le forze politiche». In secondo luogo, sostengono
che il nuovo Senato sarà una Camera fragile, composta da un personale
politico che non avrà probabilmente né le competenze né l’autorevolezza
per divenire «un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni».
In terzo luogo, deplorano che gli elettori vengano chiamati a
pronunciarsi con un sì o con no su un unico testo, composto da parti
eterogenee, e pensano che «diversamente avverrebbe se si desse la
possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso
affrontati». In quarto luogo, rimproverano al presidente del Consiglio
di avere personalizzato l’intera questione costituzionale legando la
sorte della riforma a quella del proprio governo.
Sulla prima
critica osservo che il metodo migliore, indubbiamente, sarebbe stato
quello di una nuova Assemblea costituente. Ma i firmatari del documento
non possono ignorare che nessuna importante forza politica, negli ultimi
decenni, è parsa disposta a permettere che la riforma della
Costituzione venisse trasferita dal Parlamento a un’Assemblea in cui i
partiti avrebbero esercitato una minore influenza.
Sulla seconda
mi limito a ricordare che i ritocchi alla funzione del Senato potranno
essere fatti in futuro sulla base delle prime, concrete esperienze.
Oggi, dopo il fallimento di tre Commissioni bicamerali e della riforma
scritta dal secondo governo Berlusconi, credo che il maggiore problema
sia quello di non allungare ulteriormente la lista delle occasioni
perdute.
Sulla terza critica osservo che il risultato di alcuni
referendum su materie diverse potrebbe essere ancora più incoerente ed
eterogeneo di quanto sia il testo attuale.
Sulla quarta, infine,
mi limito a ricordare che dal primo governo Berlusconi l’Italia assiste a
battaglie politiche in cui non si vota sui meriti di una legge, ma
sulla persona o il partito che ne è il promotore. Renzi ne ha tratto le
conclusioni e ha annunciato che se la riforma non verrà approvata, se ne
andrà. È quello che accadrebbe anche se non lo avesse promesso.