Corriere 27.4.16
Un centrodestra possibile preda non solo del pd ma anche di Grillo
di Massimo Franco
La
frattura nel centrodestra sulle candidature a Roma non va considerata
una parentesi, chiusa la quale si tornerà all’unità tra FI, Lega Nord e
FdI. Forse non reggerà a lungo nemmeno il partito di Silvio Berlusconi.
Si assiste allo sgretolamento di un blocco di potere sopravvissuto a se
stesso; e alla transizione verso una fase diversa, che accentuerà le
divergenze tra un estremismo di destra xenofobo e antieuropeo; e una
componente, oggi vistosamente in crisi, che cerca di non recidere le
radici con il Partito popolare europeo e l’elettorato più moderato.
Per
quanto nasca da una situazione estrema come quella del Campidoglio,
accerchiato da partiti sull’orlo del collasso e dalle inchieste
giudiziarie, il caos romano assume rilievo nazionale. Tende a essere, al
di là della volontà dei protagonisti, il laboratorio di dinamiche
diffuse e probabilmente destinate a accelerarsi. Radicalizza il tema del
vuoto lasciato dalla crisi del berlusconismo; e dell’incapacità dei
movimenti populisti come il Carroccio e gli eredi di An di rappresentare
quell’area di consensi: a Roma e in tutta Italia. Le accuse di «fare il
gioco di Matteo Renzi», rivolte a FI in vista delle Amministrative di
giugno, sono rivelatrici.
Mostrano non tanto il timore che un
pezzo di elettorato emigri in direzione del Pd: con gli scandali
scoperti nella capitale questo travaso appare problematico. Piuttosto,
segnalano il timore leghista e di FdI di non riuscire a intercettare
quei voti; e di confermarsi uno schieramento magari forte ma reso
minoritario dai suoi limiti politici. Un Berlusconi declinante fa paura
agli alleati perché sottolinea un vuoto di rappresentanza che nessuno è
in grado di riempire: non tra i suoi sodali ultraventennali. E sposta la
competizione fuori dai confini del centrodestra.
Ma non solo con
il Pd renziano. Evoca un trasversalismo del M5S che a Roma, e non solo,
sta assumendo contorni «di destra»: nel significato più ambiguo e
insidioso del termine. La polemica dei dem sui trascorsi della candidata
del M5S a sindaco, Virginia Raggi, mira a delegittimarla. Accreditarla
come «di destra» vuole essere fumo negli occhi di un elettorato nel
quale la componente di sinistra viene ritenuta prevalente. Eppure,
l’operazione potrebbe rivelarsi a doppio taglio; e legittimare la Raggi
in una fase in cui i diaframmi ideologici si sono spezzati.
D’altronde,
dalla legge sulle unioni civili in Senato, ai tentativi di accreditarsi
all’estero, i seguaci di Beppe Grillo cercano di accentuare la postura
dei futuri «governanti». Tentano il dialogo con il Vaticano. E intanto
scagliano parole virulente e manichee contro il sistema dei partiti,
dipingendoli come sentine della corruzione e del crimine: anche per
coprire qualche vistosa sbavatura del M5S . Non ci sarebbe da
meravigliarsi se ai ballottaggi alcuni nel centrodestra premiassero
queste posizioni: in odio a Renzi, o perfino ai propri ex alleati.