La Stampa 27.4.16
Ecco perché la Bundesbank attacca la Commissione
“Non
vigila abbastanza”. La “Buba” spalleggia il rigore della Merkel E
finisce per mettere nel mirino gli Stati dell’Unione dal deficit facile
di Marco Zatterin
Chiamiamola
la «Parabola del pescatore con le tasche bucate». Per spiegare gli
effetti che uno Stato europeo con troppo debito può generare sugli altri
soci dell’Eurozona, Jens Weidmann sfodera una metafora ittica, e parla
del «sovrasfruttamento da parte di un singolo che riduce la
disponibilità di pesci per gli altri e minaccia nel lungo periodo le
risorse della collettività». È un linguaggio immediato, e deciso, che
consente al presidente della Bundesbank di attaccare con un colpo solo
chi non tiene i conti pubblici in ordine e chi non fa rispettare con la
dovuta energia le regole destinate ad imbrigliarle. Sono loro che
generano «la tragedia dei beni comuni». Ovvero il «problema
dell’almenda» che, nel medioevo germanico, erano i pascoli e terreni
coltivabili condivisi, situati appena fuori dai villaggi agricoli.
Il
banchiere centrale tedesco sente l’antica «tragedia» rimaterializzarsi
nell’Eurozona: qualcuno sfrutta i campi degli altri, per non parlare
delle riserve di pesca. Chiama in causa le capitali che gli paiono
leggere nella gestione delle proprie casse - in testa l’Italia, col
debito oltre il 130% del Pil, il terzo del pianeta - e poi la
Commissione Ue che «tende continuamente a scendere a compromessi a danno
del rispetto del bilancio, ad esempio prorogando di volta in volta la
scadenza dei periodi di adeguamento per gli Stati in situazione di
deficit» (riferimento a Francia e Spagna). Così facendo, svela un
pensiero in cui si legge l’ambizione di frenare chi, come Renzi, chiede
più flessibilità. I Trattati diventano dogmi intoccabili. Anche perché
solidarietà è, per Weidmann, «il non rendere responsabili gli altri
delle conseguenze delle proprie scelte».
È la posizione classica
della Bundesbank che, espressa a Roma e in questi tempi di
euroscetticismo e populismo galoppanti, diventa una linea «classica
più». La negazione del debito eccessivo è nel Dna tedesco. Va a nozze
con la logica protestante dell’opposizione all’azzardo morale, col
rifiuto della possibilità che qualcuno profitti del bene comune. È un
pensiero diffuso ai piani alti di quella che una volta era la sola banca
centrale di Francoforte come nello spirito comune della gente alemanna.
Così viene il sospetto che Weidmann rinvigorisca il messaggio anche per
rafforzate la politica di cui è emanazione. Quella della cancelliera
Merkel, certo l’unica vera leader continentale, certo in difficoltà,
certo tedesca.
Già quando è andato contromano rispetto alla
politica monetaria della Bce di Mario Draghi, Weidmann ha espresso una
valutazione «nazionale» dei tassi azzerati. Ora tende la mano
all’italiano dell’Eurotower, almeno a parole, e definisce «appropriata
la politica monetaria dell’Eurozona». La usa anche per dire che la
possibilità da essa creata «per ridurre i deficit strutturali» non è
stata sfruttata. Strumentale, può sembrare tanto è «germanica»,
l’offensiva contro il debito e i suoi derivati. Il banchiere centrale la
reitera quando parla dello schema di garanzia dei depositi che Berlino
respinge perché troppi sono i legami fra cosa pubblica e banche.
Nessuno, è la morale, deve pagare per le colpe degli altri. Soprattutto
la Germania.
Per Angela Merkel è una sponda. Le permette di dire
che la «Buba» - come lei e il suo governo - combatte per la morale
tedesca, e che non permetterà ai contribuenti di Monaco o Hannover di
versare un solo cent per salvare una banca spagnola o il Tesoro
italiano. Per Matteo Renzi è un tiro insidioso. Le parole di Weidmann
sulla Commissione troppo generosa, pronunciate a tre settimane dalle
decisioni di Bruxelles sui conti pubblici, rischiano di irrigidire il
fronte dei falchi (e dei popolari), e di rendere più difficile il
giudizio positivo sull’Italia e non solo. Nell’almenda della «Buba»,
evidentemente, chi aveva finito i semi - per colpa, imperizia, sfortuna o
altro - doveva arrangiarsi. O morire di fame.