mercoledì 27 aprile 2016

Corriere 27.4.16
L’avvertimento di Weidmann a Renzi «Sul debito la tempesta può tornare»
di Federico Fubini

Il presidente Bundesbank: banche e titoli di Stato, l’Ue non è pronta a condividere i rischi
ROMA Matteo Renzi non può volere qualcosa e il suo contrario. Non può chiedere che in Europa si condividano (almeno) certi debiti – con la proposta di un eurobond – e rivendicare che il bilancio dell’Italia lo decidono gli italiani e non i «burocrati di Bruxelles». In un’unione di bilancio, ha avvertito Jens Weidmann, «proprio questo cambierebbe». L’implicazione per il presidente della Bundesbank è che se l’Italia vuole conservare il pieno controllo della sua finanza pubblica, lasciar salire il debito pubblico e non ridurre il deficit, deve anche accettare la contropartita: l’idea che un giorno lo Stato possa fare default e un Paese possa anche uscire dall’euro quando continua a violarne le regole.
Ieri a Roma, Weidmann ha offerto a una platea dell’establishment italiano esattamente ciò che tanto manca alle élite nazionali in tutta Europa: un accesso diretto a un punto di vista esterno sul loro Paese. E per non far perdere a nessuno l’occasione, il banchiere centrale tedesco non ha fatto sconti. Non ha mai cercato di ammorbidire gli angoli, non ha accennato alla via di un compromesso, non ha mai preso in considerazione che ogni medaglia ha sempre due lati. Nella residenza dell’ambasciatore tedesco a Roma, Weidmann ha preferito leggere un discorso di quasi trenta pagine dedicato unicamente ai rischi del debito pubblico degli altri, alle possibili conseguenze per le banche, e soprattutto al desiderio sempre più radicato in Germania di isolarsi da un’altra deflagrazione finanziaria possibile sul fianco Sud dell’area euro.
«Matteo Renzi l’anno scorso, presentando il bilancio, ha dichiarato che la politica sui conti pubblici italiani viene fatta in Italia e che l’Italia non permette che essa venga dettata dai burocrati di Bruxelles», ha preso nota Weidmann. E ha subito ricordato: «In un’unione di bilancio ogni Stato membro dovrà adempire alle richieste di un’autorità fiscale europea». Stessa contraddizione, a suo avviso, nella proposta italiana di un’assicurazione europea contro la disoccupazione: «A quel punto dovrà essere un’istituzione europea a controllare le regole del mercato del lavoro».
La difesa del progetto dell’euro da parte del presidente della Bundesbank è stata del resto la più debole che potesse offrire. A una domanda sul suo futuro, si è limitato a dire: «A mio avviso quella sulla moneta unica è una decisione politica, non sono i banchieri centrali a dover intervenire. Certo non si immagina come essa possa funzionare quando un Paese continua a non rispettarne le regole. È a quel punto che la politica può decidere se eventualmente quel Paese debba uscire dall’unione monetaria».
Ma per Weidmann l’intento principale dell’incontro, ieri a Roma, era far capire quanta preoccupazione e diffidenza sia diffusa in Germania per la condizione dell’Italia. «In Europa sono importanti riforme come il Jobs Act italiano, ma sono necessarie riforme strutturali sia al livello dei singoli Stati che a livello europeo – ha detto –. In alcuni Paesi devono ancora essere create strutture di base, come per esempio un’ amministrazione funzionante e affidabile, una giustizia certa e veloce e un apparato statale più efficiente nel suo complesso». Di qui la requisitoria del banchiere centrale tedesco sul modo nel quale, a suo parere, veri governi stanno abusando dell’opportunità offerta dalla Banca centrale europea con i suoi acquisti di titoli di Stato.
Per lui non c’è stato bisogno di citare alcun Paese, perché il messaggio di ieri era abbastanza chiaro. A maggior ragione se lanciato da una capitale che spende gran parte della sua energia in Europa per conquistare il diritto a non risanare i conti in tempo di ripresa e di requie sui mercati del debito. «La possibilità di ridurre velocemente i deficit strutturali creata dalla politica monetaria molto accomodante della Bce non è stata sfruttata», ha detto. Peraltro, senza specificare quando, Weidmann ha ricordato che anche l’Italia ha violato le regole europee sui conti. Per poi aggiungere: «Ciò potrebbe diventare un problema per la sostenibilità del debito quando il consiglio della banca centrale dovesse intraprendere una politica monetaria più restrittiva».
Weidmann ha ammesso che oggi un «orientamento espansivo» nell’area euro «è più che appropriato», anche se ha subito preso le distanze dalle scelte del presidente della Bce Mario Draghi: «Si possono avere opinioni diverse sugli strumenti». Ma il banchiere centrale tedesco ha comunque fatto capire, deliberatamente, che l’Italia è vulnerabile a una nuova tempesta sul suo debito non appena i tassi d’interesse torneranno salire. E questa volta i mercati possono tornare a mettere radicalmente in discussione il futuro dell’euro. «Secondo me sussiste il pericolo che possa emergere un nuovo problema per l’unione monetaria legato alla fiducia», ha detto Weidmann. Per quel giorno la Germania vorrà essere separata dall’area di crisi. Il presidente della Bundesbank è tornato a ripetere le sue ricette, già respinte dalla maggioranza dei governi dell’area euro: limiti da introdurre al più presto all’esposizione delle banche in titoli di Stato, in modo che queste ultime non siano coinvolte direttamente in un default del debito pubblico; e la sospensione per tre anni del rimborso dei titoli di Stato stesso, dunque di fatto un’insolvenza, non appena un Paese in difficoltà dovesse chiedere l’aiuto al fondo-salvataggi europeo.
L’altra ricetta non convince Weidmann: una condivisione dei rischi di finanza pubblica in Europa non può funzionare, se non è legata a uno stretto controllo europeo delle decisioni di ogni singolo Paese. Di qui la presa di distanze del banchiere tedesco: «Pier Carlo Padoan dice che la condivisione dei rischi e delle responsabilità rappresentano forti incentivi a rispettare le regole. Ma su questo punto io non sarei tanto ottimista», ha puntualizzato Weidmann. Per lui, accadrebbe l’opposto: alcuni Paesi ne approfitterebbero per scaricare il rischio dei propri debiti sugli altri, approfittando della debolezza della Commissione Ue nel vigilare.
Dal pulpito di Weidmann ieri a Roma, pareva quasi che stesse già accadendo.