giovedì 21 aprile 2016

La Stampa 21.4.16
Referendum costituzionale la minoranza Pd sfida Renzi
Bersani e i suoi non firmano la richiesta. L’ira del premier: dicono no a tutto
Irritato Il premier ieri era a Città del Messico insieme al presidente Enrique Pena Nieto, ma non ha dissimulato l’irritazione per lo strappo della sinistra Pd
di Carlo Bertini

A fine giornata, con Renzi che da Città del Messico non dissimula tutta la sua irritazione contro quelli del suo partito che «si oppongono a tutto», la faccenda delle firme per il referendum costituzionale negate dai vari Cuperlo, Bersani e Speranza diventa il caso del giorno. E dire che a metà mattina la querelle comincia tra i banchi del Pd in toni scherzosi. Sulla chat Whatsapp “Gruppo Pd Aula”, un deputato di minoranza, Giuseppe Lauricella, parte sul filo della provocazione. «Mi arriva un sms in cui si richiede di andare a firmare. Sarà per la dichiarazione precompilata?». «No Giuseppe, sarà per il due per mille», sta al gioco Cinzia Fontana. A quel punto il numero due del Pd, Lorenzo Guerini chiude i giochi, «Grande Cinzia, gioco, partita, incontro».
Ecco, questi i toni, anche se un’ora dopo, Roberto Speranza, mentre si dirige alla buvette con i compagni Nico Stumpo e Danilo Leva, rivendica come un risultato da sbandierare i milioni di votanti al referendum sulle trivelle di domenica. Insomma tutti quelli che si sono mossi in dissenso dal premier. Segno di ostilità permanente, «qualche numero lo abbiamo portato e i numeri hanno parlato da soli». «E oggi non abbiamo dato le nostre firme», gli fa eco Leva.
La strategia della sinistra
Il perché di questo nuovo gesto di rottura lo spiega a modo suo Bersani, definendo la richiesta di referendum da parte della maggioranza «una sgrammaticatura. Perché noi la riforma l’abbiamo già votata». E quanto al referendum, c’è tempo per decidere cosa fare, «di qui a ottobre c’è maggio, giugno....». Una battuta che svela la strategia: la sinistra Pd attende Renzi sulla riva del fiume: perché se le comunali e i ballottaggi vedranno soccombere nella tenaglia centrodestra-5Stelle i candidati del partito nelle grandi città, loro torneranno alla carica per far cambiare l’Italicum. Chiedendo il premio di maggioranza alla coalizione negato fin qui da Renzi. E fino a quel momento non diranno una parola per la battaglia referendaria.
Quello odierno dunque è solo un colpetto di avvertimento: i compagni lo motivano dicendo che la scelta è legata al fatto che «per galateo istituzionale sono le opposizioni a chiedere il referendum su una riforma: se lo fa la maggioranza ha il sapore di chi si fa la legge e poi vuole il plebiscito, rischio che noi vogliamo evitare».
I comitati del sì e del no
Fatto sta che a depositare le firme in Cassazione sul referendum per primi tagliano il traguardo gli esponenti delle opposizioni, seguiti da quelli della maggioranza che arrivano insieme ai verdiniani. «Nessuna prova muscolare, noi vogliamo che si esprima il popolo», dice Emanuele Fiano per spiegare la corsa a chi arriva primo. Ma nessuno tra i renziani crede che la diserzione della sinistra Pd preluda ad un tradimento dei comitati del sì. «Troverei singolare che chi ha votato sì alla riforma poi aderisca ai comitati del no», dice Fiano. «C’è dentro il Pd una parte che fa opposizione su tutto e dobbiamo prenderne atto», dice il premier. «La scelta di fare il referendum l’abbiamo presa tutti assieme e se qualcuno ha cambiato idea mi spiace ma non conta». Come a dire che comunque lui tirerà dritto, sapendo che la minoranza non si impegnerà nella sfida di portare a votare quanti più italiani pro-riforma possibile. Ma i conti si faranno dopo. Come dice Matteo Richetti, «se vincerà lui, come io credo, questa prova, tutti ne vedranno delle belle...».