La Stampa 20.4.16
Il premier cambia passo perché vede un’offensiva mediatico-giudiziaria
“Talk, media e social non sono l’Italia”: le ragioni dell'invettiva
di Fabio Martini
Per
due ore nella vetusta aula del Senato il presidente del Consiglio aveva
ascoltato, sorridendo e visibilmente rilassato, le accuse dei senatori
di opposizione, interventi ricchi di dettagli fiammeggianti ma privi di
spiegazioni sulle gravi ragioni che avevano portato alla mozione di
sfiducia nei confronti del governo. Due ore di accuse stentoree («Siete
degli intrallazzoni!»), sibilate con urla belluine ma che erano cadute
tra sbadigli e scranni semivuoti e così, quando Matteo Renzi ha preso la
parola, per la prima mezzora non ha avuto alcun bisogno di replicare a
muso duro ad opposizioni che si erano presentate così impreparate
all’appuntamento. Un Renzi olimpico, poi, all’improvviso, il cambio di
marcia: «Questo Paese ha conosciuto anche negli ultimi venti,
venticinque anni, pagine di autentica barbarie, legate al
giustizialismo!». Un affondo davvero irrituale per un presidente del
Consiglio di centrosinistra e infatti dai banchi del Pd il passaggio
hard viene lasciato cadere senza applausi, che invece sopraggiungono
qualche attimo dopo quando Renzi completa il suo pensiero: «Vite di
persone perbene, sono state distrutte...».
Nell’aula alcuni
senatori del Pd si guardano, parlottano sottovoce, cercano di capire il
senso di quell’affondo, così lontano da una “ideologia” che per trenta
anni ha portato la sinistra italiana a stare sempre e comunque dalla
parte dei magistrati. Una senatrice del Cinque Stelle tra sé e sé: «Hai
paura, eh?». Renzi gioca forse d’anticipo, perché sa di qualche novità
in arrivo da qualche Procura? Difficile addentrarsi in dietrologie che
non possono trovare conferma. Una cosa è certa: Renzi voleva dire quella
frase così hard e non è stato certo preso dal pathos dell’aula, tra
l’altro un pathos che non c’era, visto che sino a quel momento il
pacatissimo presidente del Consiglio aveva parlato nel silenzio
rispettoso di tutta l’aula.
Nelle intenzioni di Renzi la frase
hard è indirizzata, in prima battuta, contro i magistrati
“giustizialisti”, ma nel mirino c’è qualcosa di più corposo: c’è quel
sistema mediatico-giudiziario - cavalcato dai Cinque Stelle - quel
sistema che in questi giorni, secondo il presidente del Consiglio, gli
ha “cucito” addosso, prima una “maschera” da amico dei petrolieri e poi
da sconfitto al referendum sulle trivelle. L’altra sera, guardando la
tv, pare che Renzi sia restato scandalizzato dal racconto dei talk-show
sul referendum «Incredibile! Sembra che gli sconfitti siamo noi!». E
infatti, nell’intervento pronunciato al Senato, il vero filo rosso del
suo intervento è questo: il sistema dei media e i Cinque Stelle stanno
raccontando un Paese che non c’è, il vero Paese è altrove.
Renzi
sa di star dentro il mood, che un tempo è stato di Craxi e poi di
Berlusconi, che per trenta anni tuonarono contro il sistema
politico-giudiziario e mediatico, ma il presidente del Consiglio è ben
attento ad evocare espressioni che richiamino leader e precedenti
detestati dall’opinione pubblica di sinistra. Ma è proprio quello il
“grumo” che vuole denunciare, come conferma la sua chiusa ad effetto: «I
talk, media e i social non sono l’Italia. La richiesta di sfiducia è
finalizzata ad avere eco fuori di qui, ma io credo che l’Italia sia
altrove. La politica è rispettare chi governa, non urlare costantemente:
quando avrete finito con le vostre sceneggiate televisive, noi vi
aspetteremo là!». Certo, Renzi è diventato Renzi anche grazie ai
talk-show e ai social e ora, scoprendoli ostili, ne sostiene la
superficialità, ma a fine intervento i senatori della maggioranza hanno
dedicato al loro presidente l’applauso più lungo di tutta la
legislatura.