mercoledì 20 aprile 2016

La Stampa 20.4.16
Renzi, nuovo attacco alle toghe
“No alla barbarie giustizialista”
Il premier a Palazzo Madama: “Io sono per i tribunali, non per i tribuni”
di Ugo Magri

Primo effetto pratico del referendum: Matteo Renzi si sente più forte e subito ne approfitta per regolare i conti. Interviene in Senato, nel dibattito sulla sfiducia che avrebbe dovuto processarlo, e irride i suoi avversari spiazzati dal Paese reale. Ma soprattutto condanna con grande energia un certo modo di fare giustizia che ha messo nel mirino il Pd e il governo. Grida: «Basta al giustizialismo». Mai premier in carica aveva pronunciato in Parlamento parole così nette nei confronti di quest’«autentica barbarie», come la definisce. È guerra dichiarata a una parte della magistratura.
Vite spezzate
Poiché pure le virgole contano, ecco che cosa ha sostenuto Renzi. Testualmente: «Io sono per la giustizia, ma non giustizialista. Per i tribunali, non per i tribuni. Rispetto le sentenze, non le veline che violano il segreto istruttorio. Ci sono stati dei giudici eroi, ma anche pagine di autentica barbarie legate al giustizialismo, vite di persone perbene distrutte mentre i veri delinquenti avevano il loro guadagno nell’atteggiamento populista» (l’ex presidente Napolitano gli ha dato prontamente ragione, citando il caso del suo consigliere Loris D’Ambrosio «che ci ha rimesso la pelle», vittima di intercettazioni «manipolate». E gli alfaniani, con Schifani, sollecitano un giro di vite sui controlli telefonici). Per vent’anni, ha scandito a Palazzo Madama il presidente del Consiglio, «l’avviso di garanzia è stato l’equivalente di una condanna», adesso si cambia. Le sentenze «sono solo quelle che arrivano in giudicato, come vuole la Costituzione». Renzi si augura che a Potenza arrivino fino in fondo «perché noi vogliamo sapere chi ruba». Lo dice però con aria di sfida agli inquirenti, ai quali rimprovera i buchi nell’acqua delle tre precedenti inchieste. Scommette: l’unica condanna che arriverà in porto sarà quella contro i grillini «i quali hanno diffamato il Pd». A proposito di epiteti, il premier difende i giornalisti (in particolare Marcello Sorgi) insultato in aula da un fittiano.
Sfottò all’opposizione
Il capogruppo Pd Zanda calcola che, tra Camera e Senato, questa è stata la trentunesima iniziativa di sfiducia al governo. Renzi ci scherza su rivolto ai banchi avversari: «Lo fate perché vi piace perdere. O perché vi serve per andare nei talk show. Però i salotti tivù non sono l’Italia, spero che ve ne siate accorti nel referendum». Cita Martinazzoli, «la politica è altrove, e noi vi aspetteremo là».
Sfiducia respinta
L’aula ha bocciato entrambe le mozioni di sfiducia, che M5S e centrodestra si sono votati a vicenda. I voti contrari sono stati 183, dunque l’apporto dei 19 senatori di Verdini non è risultato decisivo. Il che renderà superfluo trattare l’argomento nell’incontro che i capigruppo Cinque Stelle avranno a mezzodì con il presidente della Repubblica. Al Quirinale i grillini si sono fatti precedere da accuse un po’ sopra le righe nei confronti di Mattarella. Avrebbero desiderato che il Capo dello Stato li ricevesse prima del referendum. Adesso è tardi, sostengono ad alta voce. Per Di Battista la visita non ha più senso. Invece forse può averne, perché Mattarella illustrerà a Catalfo e a Dell’Orco un po’ di regole cui deve attenersi.
Referendum, si riparte
Oggi il Pd deposita in Cassazione la domanda per sottoporre a giudizio popolare la riforma Boschi del Senato. Ma già ieri vi avevano provveduto tutte le opposizioni su iniziativa di Toninelli (M5S). E due giorni fa il Comitato del No, guidato dal professor Pace, aveva formalizzato il quesito su cui intende raccogliere 500 mila firme. Prepariamoci: le trivelle sono state solo l’antipasto.