La Stampa 1.4.16
Zaha Hadid
Provocare la materia
È
morta a 65 anni la grande architetta araba Naturalizzata britannica, era
emersa dalla scuola londinese degli Anni Settanta. Nel 2004 è stata la
prima donna a vincere il premio Pritzker
di Luca Molinari
«Sono
una donna. Sono araba. Sono un architetto. Biologia e geografia hanno
segnato i primi due. Il terzo è stato realizzato grazie a quaranta anni
di duro lavoro».
Così Zaha Hadid parlava di sé in una
recente intervista al compimento dei suoi primi 65 anni. E oggi,
improvvisamente, la prima progettista donna ad aver vinto il Pritzker
Price, ovvero il Nobel per l’architettura, e una delle star indiscusse
della scena creativa mondiale, è scomparsa a Miami per una complicazione
cardiaca.
Nata nel 1950 a Baghdad, studi durante gli Anni
Settanta alla scuola AA di Londra in un periodo aureo, dove i professori
erano alcuni degli architetti «radical» italiani e britannici più
innovativi del tempo e tra gli studenti s’incontravano Rem Koolhaas,
Elia Zenghelis e Bernard Tschumi.
Zaha Hadid da subito costruisce
un percorso progettuale e di ricerca unico che la porta rapidamente al
centro della scena architettonica internazionale in un momento in cui
l’emergere dell’architettura decostruttivista, di cui lei è considerata
una dei principali fautori, anticipava nelle proprie linee l’avvento del
computer e del mondo digitale.
Il primo progetto non realizzato
per il Peak Leisure Club di Hong Kong del 1982 dichiarava un mondo di
forme totalmente inatteso. La Hadid lavorava attraverso disegni
potentemente dinamici che pescavano nelle radici futuriste e
costruttiviste del Movimento Moderno. Energia, rapidità, fluidità
instabile delle forme sprizzavano da questi disegni che sovrapponevano
le architetture a un paesaggio metropolitano anonimo alla ricerca di
opere forte capaci di ripensarlo.
E questi sono alcuni dei
caratteri che accompagneranno il suo lavoro lungo la sua intensissima
carriera in una continua ricerca che incrociava un’idea monumentale,
potente del manufatto architettonico alla dimensione plastica e al
bisogno di dare forma a quel flusso continuo di informazioni ed energie
che caratterizza il nostro mondo.
Durante gli Anni Novanta Zaha
Hadid realizza le prime due opere: la stazione dei vigili del fuoco nel
Campus Vitra a Weil-am-Rhein e un terminal per gli autobus a Strasburgo.
Il
2004 è un anno di svolta con la vittoria del Pritzker Price e la sua
definitiva affermazione sulla scena globale. In questo la Hadid è una
delle autrici che meglio hanno rappresentato lo spirito di un tempo in
cui la figura dell’architetto è diventata icona glamour, strettamente
intrecciata al mondo della moda e di una creatività capace di muoversi
con facilità formale da una nuova serie di scarpe fino alle grandi
architetture monumentali realizzate in molte delle metropoli emergenti
sulla scena internazionale.
La sequenza delle opere realizzate in
questi ultimi dieci anni è impressionante, dal Maxxi di Roma al palazzo
dell’Opera di Guangzhou, la piscina olimpica di Londra, il recente Museo
Messner in Alto Adige e una serie di grandi edifici pubblici a Baku,
Beirut, Anversa, Baghdad, Miami e Seul. Opere in cui il limite sottile
tra ricerca avanzata e formalismo è stato spesso portato alle
conseguenze estreme da un’autrice che non ha mai avuto paura di
sperimentare e di dare forma possibile a quelle realtà che domandano con
insistenza forme e soluzioni per affrontare un futuro sempre più
incerto.