La Stampa 18.4.16
“Nei paradisi fiscali nascosti 7600 miliardi di dollari”
di Alessandro Barbera
L’iniziativa
dei cinque grandi Paesi europei per rafforzare lo scambio automatico di
informazioni «è tardiva ed insufficiente». Winnie Byanyima di Oxfam
scuote la testa. E’ appena uscita da un lungo dibattito con Joe Stiglitz
e Christine Lagarde su come rafforzare la cooperazione contro
l’evasione, e non è convinta. Lo scandalo dei Panama Papers ha aumentato
la pressione mediatica sulle istituzioni internazionali, e perciò la
numero uno del Fondo monetario annuncia una task force” che riunirà Fmi,
Banca Mondiale, Ocse e Onu: «Negli ultimi trent’anni c’è stato un forte
aumento degli scambi di beni intangibili che facilita l’allocazione del
valore dove la tassazione è più favorevole», spiega la Lagarde.
Maggiore
concorrenza fiscale significa anche più ricchezza per tutti, fa capire
l’ex ministro francese. «Una cosa è l’evasione, altro è l’elusione». Ma
tracciare un confine fra «l’allocazione del valore» di multinazionali o
start up digitali e chi nasconde capitali frutti di attività illecite
non è facile. Secondo i calcoli di Oxfam nei paradisi fiscali ancora
sparsi per il mondo sono depositati 7.600 miliardi di dollari. Una cifra
enorme, sproporzionata rispetto alle iniziative che – soprattutto in
Europa – sono state prese in questi anni. Per chi cerca un approdo
sicuro Monaco, il Liechtenstein e la Svizzera hanno perso appeal. Ma ci
sono alternative attraenti: gli Emirati, le Cayman, Macao, e le Isole
Vergini britanniche, il luogo preferito dagli oligarchi cinesi.
In
quarant’anni di attività lo studio Mossack-Fonseca ha costituito
250mila società, quasi metà delle quali immaginate per operare in quei
lidi. Di qui la domanda di Byanyima: si può prendere sul serio l’appello
firmato dalla Gran Bretagna con Italia, Germania, Francia e Spagna per
rafforzare gli accordi in sede G20? E’ credibile l’impegno di David
Cameron, ricoperto dai fischi degli inglesi per del coinvolgimento del
padre nello scandalo Mossack-Fonseca? «Esistono complicità indirette»,
ci dice a margine del dibattito il premio Nobel Stiglitz. «Ma è pur vero
che in alcuni paradisi fiscali iniziano a porsi problemi reputazionali,
ad esempio proprio a Panama». La Lagarde prova a cavarsi d’impaccio
ricordando che nel 2012 il Fondo aveva fatto all’ex protettorato
americano «alcune raccomandazioni rimaste largamente inattuate». In ogni
caso la task force voluta dall’Fmi «non avrà alcun orientamento
politico, perché le istituzioni devono lavorare autonomamente». L’ex
avvocato d’affari cammina sulle uova: molti dei membri della comunità
internazionale sono governati da leader travolti dai Panama Papers.