lunedì 18 aprile 2016

La Stampa 18.4.16
Fallisce il vertice di Doha. Nessun accordo sul petrolio
L’Arabia vuole congelare la produzione, l’Iran dice no. Paura sui mercati In Kuwait lo sciopero di 20 mila lavoratori fa crollare l’estrazione (-60%)
di Paolo Baroni

Era stata ribattezzata «la madre» di tutte le riunioni dell’Opec, e del resto erano almeno 15 anni che tutti i Paesi produttori raccolti nel cartello e quelli fuori non si ritrovavano attorno ad un tavolo. Almeno i principali, perché ieri a Doha mancavano tra gli altri la Libia, gli Usa e la Cina. E mancava soprattutto l’Iran che da settimane ha in corso un logorante braccio di ferro con l’Arabia Saudita. Proprio il veto dell’Iran è stato determinante per far fallire il vertice di Doha.
Muro contro muro
Gli arabi, d’intesa coi russi, con cui si contendono il primato mondiale di estrazione di petrolio, avevano proposto di congelare sino ad ottobre la produzione tenendo come riferimento i livelli d’inizio anno allo scopo di stabilizzare i prezzi scesi da tempo a livelli inaccettabili per i Paesi esportatori. Unica condizione che l’accordo riguardasse anche l’Iran. Il governo di Teheran però ha detto subito di non essere d’accordo, o meglio ha posto una condizione vincolante: prima di firmare l’intesa ha preteso di poter tornare senza alcun vincolo ai livelli di produzione del periodo precedente le sanzioni terminate pochi mesi fa. Insomma, mentre all’Opec si progettava una riduzione «ragionevole» della produzione (il taglio di 1-2 milioni di barili al giorno), l’Iran pretendeva di produrne a sua volta di qui al 2017 giusto due milioni in più. In questo nodo la trattativa si è subito presentata in salita. Il fallimento era da giorni nell’aria. E anche ieri il balletto Arabia-Iran è andato subito di prima mattina. A metà giornata alcune fonti sostenevano che «l’intesa di massima era stata raggiunta». Altre che mancavano da definire «solo alcuni dettagli», come il meccanismo di monitoraggio con cui controllare l’effettiva attuazione dell’intesa e la data di un eventuale vertice di verifica (probabilmente a Mosca, in ottobre). Altre fonti ancora spiegavano invece che i tempi erano destinati ad allungarsi all’infinito coi due principali contendenti che non intendevano arretrare di un centimetro dalle rispettive posizioni. Il vertice non solo è partito con un enorme ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma ha dovuto subire anche una lunghissima interruzione. Poi quando in Qatar ormai si avvicinava la mezzanotte, le 20 passate in Italia, l’annuncio da parte dei padroni di casa che avevano organizzato il summit: nulla di fatto, nessuna intesa. Anche se si è andati ben 10 ore oltre il termine previsto non c’è stato nulla da fare: le posizioni di Arabia Saudita ed Iran si sono rilevate assolutamente inconciliabili. Le trattative tra i grandi produttori «richiedono più tempo» ed andranno avanti fino a giugno, quando sarà probabilmente organizzato un nuovo vertice, ha spiegato a fine giornata il ministro del petrolio nigeriano, Ibe Kachikwu.
Intanto il Kuwait sciopera
Quali effetti avrà la mancata intesa lo vedremo oggi alla riapertura dei mercati. Molti esperti temono una reazione nervosa degli investitori col rischio di forti vendite sul mercato. Basti pensare che venerdì la sola previsione di un possibile esito negativo dell’incontro aveva fatto cadere i listini del 3% (attorno ai 40 dollari al barile) dopo settimane di rialzi costanti. Tanti analisti, però, concordavano nel sostenere che qualsiasi accordo fosse stato raggiunto a Doha avrebbe avuto scarso impatto sulle forniture effettive di greggio perché la maggior parte dei partecipanti al vertice, a cominciare da arabi e russi, sta già pompando da mesi al massimo delle capacità. Di certo peserà lo sciopero proclamato in Kuwait dai 20mila lavoratori del settore petrolifero per protestare contro la minaccia di un taglio del 20% dei salari proposto dal governo come rimedio per contrastare la crisi del settore causato dal crollo dei prezzi. La produzione giornaliera del Kuwait si è già ridotta del 60% a quota 1,1 milioni di barili al giorno. Un calo della produzione che coincide in termini quantitativi col surplus globale che si pensa di congelare e che da solo, almeno per qualche giorno, potrebbe bastare a far aumentare almeno un poco il prezzo del barile.