La Stampa 18.4.16
Caso Regeni, interviene Hollande
Il Cairo: l’Italia allenti le pressioni
Il presidente Al Sisi: “Se l’Egitto cade conseguenze inimmaginabili”
di Francesca Paci
L’Egitto
è sotto forte pressione internazionale per la morte di Giulio Regeni
tanto che, come annunciato, la prima uscita del presidente francese
Hollande dopo il benvenuto al Cairo del collega Al Sisi riguarda proprio
il ricercatore friulano torturato e ucciso due mesi e mezzo fa. «Ho
discusso con il presidente egiziano dell’omicidio di Regeni ribadendo
che ci sono molte domande riguardanti questo e altri incidenti simili e
che il rispetto dei diritti umani è un mezzo per combattere il
terrorismo» dice Hollande. La replica di Al Sisi conferma però la
fermezza opposta all’irritazione italiana per la scarsa collaborazione
della controparte: «Siamo pronti a trattare il caso in piena
trasparenza, ma siamo anche esposti a forze malvagie che minano la
stabilità del Paese». Il sottotesto è chiaro: più l’Egitto è attaccato,
più si difende.
Un messaggio analogo era stato indirizzato a Roma
poche ore prima dell’arrivo di Hollande, al Cairo per firmare nuovi
lucrosi contratti. Sabato sera, ospite del canale Al Hayat, il portavoce
del ministero degli Esteri Ahmed Abu Zeid aveva detto che le pressioni
di Roma su Regeni non dovrebbero mettere fretta alle indagini e di
spiegarsele solo con la situazione politica interna italiana, alludendo
come già in passato alle dimissioni del ministro Guidi e ai problemi del
governo. Ieri, rilanciando l’intervista, il quotidiano «Al Watan»,
aggiungeva l’affermazione, poi smentita dal ministero, di un generico
«importante sviluppo». L’unico sviluppo della vicenda riguarda finora
l’escalation nei rapporti tra Roma e Cairo, sempre più tesi dal giorno
del richiamo del nostro ambasciatore Massari.
Da un lato le
autorità egiziane fanno quadrato per contenere i fratelli coltelli in
seno al regime, dall’altro non capiscono la risolutezza italiana a
mettere in discussione un partenariato storico per «un incidente». Due
punti ribaditi ancora da Al Sisi dopo il saluto ad Hollande, suo alleato
economico, ma anche in Libia. Primo, il Paese minacciato da forze
esterne, ma soprattutto interne: «Ciò che avviene in Egitto è un
tentativo di spaccare lo Stato, istituzione dopo istituzione, la
polizia, la magistratura, il Parlamento. Non potete immaginare cosa
accadrebbe se il Paese cadesse». Secondo, la patita «indisponibilità
internazionale» a comprendere l’Egitto: «Non è possibile applicare gli
standard europei sui diritti umani perché la regione in cui viviamo è
molto turbolenta».
Il caso Regeni si inquadra in una situazione
esplosiva. La manifestazione di venerdì contro la «svendita» delle isole
Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita è la prima massiccia protesta contro
Al Sisi e non è passata affatto sotto silenzio come la scarsa copertura
dei giornali governativi suggerirebbe. Secondo Stratfor for Global
Strategic Intelligence il risentimento non riguarda solo la gente
comune, ma il Consiglio Superiore delle Forze Armate che avrebbe
«avvertito Al Sisi di rinunciare alla cessione che potrebbe danneggiare
l’orgoglio nazionale e far infuriare la gente». Una fonte egiziana fa
notare che «l’esercito si è tenuto lontano dalle manifestazioni come se
avesse deciso di giocare neutrale». E «Al Masry al Youm» scrive che è in
discussione la formazione di un comitato per rivedere l’accordo con
Riad. Tra annunci, smentite e depistaggi, il caso Regeni sembra la punta
dell’iceberg di una resa dei conti interna.