La Stampa 18.4.16
Ora lo aspetta la prova più difficile
di Marcello Sorgi
Dalle
urne del referendum sulle trivelle arriva un segnale chiaro per Renzi:
la consultazione è fallita, per mancato raggiungimento del quorum, e il
premier può a ragion veduta cantar vittoria, avendola definita «una
bufala» ed essendosi schierato apertamente per l’astensione. Il numero
dei votanti, in maggioranza schierati per il «Sì», che in pratica era un
«No» a Renzi, in nessuna provincia - tranne Matera - ha raggiunto il
cinquanta per cento degli elettori necessario per rendere valido il
voto, è rimasto lontano complessivamente anche dal quaranta per cento
che gli organizzatori si erano assegnati come traguardo significativo
della loro iniziativa, sebbene quattordici milioni e mezzo di persone
che vanno a votare siano un dato politicamente non irrilevante.
Forse
è presto per dire che tra Movimento 5 stelle, minoranza Pd, sinistra
ambientalista e radicale, Lega e Fratelli d’Italia, tutti schierati
contro l’astensione e per la riuscita del referendum, sebbene con
posizioni di merito differenti, sia nato una sorta di fronte popolare,
che partendo dalla sconfitta di ieri sera, punta a prendersi la
rivincita nelle prossime amministrative, in vista delle quali la
condizione dei candidati sindaci renziani nelle grandi città si fa
giorno dopo giorno più difficile, o nel referendum costituzionale sulla
riforma Boschi a ottobre.
Ma che gli avversari del presidente del
Consiglio, dentro e fuori il Pd, ci proveranno ancora, è sicuro, anche
se non è detto che riusciranno nel loro intento.
Il voto di ieri
riflette infatti alcune caratteristiche contingenti: l’affluenza è stata
più forte, ad esempio, nella Basilicata toccata (e sensibilizzata)
dallo scandalo trivelle, e nella Puglia del governatore Emiliano, a
tutti gli effetti capo dello schieramento trasversale antirenziano; non
così in altre regioni, come la Campania, la Calabria e la Sicilia; e non
parliamo di quelle non direttamente interessate al problema, ma
chiamate lo stesso a pronunciarsi. Insomma un risultato deludente,
seppure non del tutto negativo, per uno schieramento trasversale
destinato a dividersi nel prossimo voto per i Comuni tra sinistra,
destra e 5 stelle. Non sarà così facile rimetterlo insieme in autunno,
dopo averlo smontato a giugno.
Al di là della soddisfazione
espressa a caldo a tarda sera, anche in nome dei lavoratori che
avrebbero perso il posto se il referendum fosse riuscito con la
conseguente vittoria dei «Sì», Renzi dovrà dunque rimettere mano alla
strategia per il 2016, prendendo atto che la sua narrazione è ancora
mobilitante nel suo mondo di riferimento, ma risulta divisiva sul
complesso dell’elettorato, e perfino aggregante, sul versante opposto al
suo, e in vista di un’altra e più importante consultazione
referendaria, senza quorum, in cui la somma dei voti dell’eterogeneo
insieme dei suoi avversari potrebbe ritrovare consistenza e rivelarsi
più rischiosa.
Inoltre la pur breve campagna per il referendum ha
rivelato come, a causa di imprevisti, un appuntamento elettorale nato
morto (nel senso che fino a pochi giorni prima dell’apertura dei seggi
una larga parte degli elettori coinvolti apparivano freddi sul contenuto
della consultazione) si sia rivitalizzato via via a causa dello
scandalo esploso pochi giorni prima e delle reazioni, favorevoli alla
partecipazione al voto, delle alte cariche istituzionali e di leader ed
ex leader del Pd. Sollecitati, va detto, dalla stessa campagna
astensionista del premier.
Resta il fatto che Renzi, alla fine, se
l’è cavata anche stavolta, tirandosi fuori da una strettoia che non
prometteva nulla di buono per lui. Di qui a giugno, e soprattutto di qui
a ottobre, la strada sarà ancora in salita, con due incognite -
migranti e situazione economica - che potrebbero di nuovo pesare sulle
convinzioni degli elettori, più delle promesse di tagli di tasse o aiuti
materiali che il premier continua a sfornare senza sosta. Da un lato
l’annunciata (e contestata dal governo italiano) chiusura del Brennero,
dall’altro la pressione crescente degli sbarchi di immigrati provenienti
dalla Libia, potrebbero creare una nuova emergenza, assai difficile da
gestire. Il resto potrebbe farlo il ristagno di un quadro economico che
non reagisce (o reagisce appena appena) alle stimolazioni della Bce e
alla spinta delle riforme economiche varate dall’esecutivo.